Gli aiuti a Cipro non fugano i timori
Il primo passo è stato fatto, ma ora sarà necessario approntare strumenti di vigilanza più validi per il futuro
di Andrea Ranelletti
Dopo settimane di disaccordi e stasi, venerdì scorso è arrivata l’accelerazione che tutti si aspettavano per il salvataggio dell’economia cipriota. I tanti timori per un possibile collasso di Nicosia, per la fuga dei risparmi dal piccolo paese e per le reazioni a catena che avrebbero potuto verificarsi sono stati allontanati dall’approvazione da parte dell’Eurogruppo di un pacchetto di aiuti da 10 miliardi per l’isola, destinati a fluire nelle casse di Nicosia a partire da maggio prossimo. Il prestito permetterà a Cipro di ricapitalizzare il suo malandato settore bancario e di ripagare parte del suo debito a medio e lungo termine, cercando di porre solide basi per la futura affidabilità dell’economia.
Nonostante l’accordo, rimangono però forti le incognite riguardanti il futuro del paese e di un’Europa sempre più in difficoltà. Lo scorso venerdì, a poche ore di distanza dall’approvazione del prestito, è giunta voce dell’intenzione del Presidente cipriota Anastasiades di richiedere un ulteriore prestito all’Europa. Più tardi è giunta conferma da parte dello stesso Presidente, che ha annunciato di avere già discusso con Olli Rehn della necessità di ottenere ulteriori aiuti e di avere pronta una lettera per il Presidente della Commissione UE Barroso e per Van Rompuy, Presidente del Consiglio europeo, in cui chiederà una maggiore sollecitudine futura nell’aiutare il suo Paese in momenti critici.
Immediata la polemica internazionale: il portavoce del Ministro tedesco Schauble ha fatto sapere che non c’è alcun margine di negoziabilità ai 10 miliardi di euro accordati dall’Eurogruppo a Cipro. Anastasiades si è più tardi spiegato, sostenendo di non aver presentato alcuna richiesta di aiuti aggiuntivi ma semplicemente di aver domandato una maggiore assistenza e celerità aggiuntiva nella predisposizione dell’eventuale assistenza futura. Resta però la preoccupazione di fronte alla possibilità che il prestito non basti a soddisfare le necessità della piccola isola, creando il rischio che un domani ci si debba trovare a compensare la portata del finanziamento.
E’ stata quindi parzialmente disinnescata la “bomba a orologeria” che rischiava di portare a fondo l’Unione Europea. La mancanza di tempestività europea nel mettere a punto un salvagente per la piccola isola ha messo a nudo la fragilità dell’Unione e dei meccanismi di salvataggio. Inoltre, si è presentato una volta ancora il dilemma del “chi paga”? E’ parsa ingiusta l’idea di imporre sacrifici e rinunce alla cittadinanza cipriota per ripagare gli errori compiuti dai governatori e da coloro che hanno consentito che i depositi delle banche si riempissero di titoli tossici e denaro sporco, lasciandole preda della speculazione selvaggia.
Montano le polemiche e l’incredulità di fronte a un sistema internazionale che non riesce a sopravvivere all’asfissia delle sue periferie. Era prevedibile l’effetto domino di cui tanto si è parlato di fronte al collasso bancario cipriota? Perché nessuno strumento di vigilanza ha segnalato che a Nicosia si stava concentrando un enorme quantità di denaro riciclato, proveniente dalla Russia? Se non si appronta un meccanismo di protezione utile a impedire che le cattive prassi rischino di generare catastrofi economiche internazionali, non sarà possibile garantire la tenuta dell’intera Unione negli anni a venire.
(fonte immagine: http://www.agi.it)