Il taglio dei fondi per i Paesi in via di sviluppo
L’Italia applica la spending review anche agli aiuti per i Paesi più poveri
di Chiara Puglisi
Qualche anno fa Corrado Guzzanti portava in scena Quelo, personaggio che ripeteva come un mantra “C’è grossa crisi…”. Nello sketch si faceva riferimento alla crisi della morale: oggi quella frase può applicarsi ai più disparati ambiti, persino agli aiuti ai Paesi in via di sviluppo che le economie avanzate si sono impegnate ad elargire.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Ocse, in tempi di crisi economica la cooperazione e gli aiuti ai Paesi più poveri soffrono e le economie più solide non fanno altro che tagliare dai loro bilanci la voce “aiuti e cooperazione”.
Nel 2012 la quota totale degli aiuti dei Paesi Dac (Development Assistance Commitee) è scesa a 125,7 miliardi di dollari, pari allo 0,29% del reddito nazionale lordo, con un decremento del 4% rispetto all’anno precedente.
L’Italia, più della Grecia e dell’Irlanda, detiene il record negativo per quel che riguarda gli aiuti internazionali. Nel 2012 il nostro Paese ha operato un taglio del 34,7%, il più ingente dopo quello della Spagna (-49,7%).
Il Belpaese dunque ha ridotto di quasi un terzo i propri aiuti allo sviluppo dall’inizio della crisi.
Leggendo i dati prodotti da Actionaid, la cooperazione allo sviluppo, legge 49/87, che in Italia è gestita dal ministero degli Affari Esteri, passa dai 179 milioni di euro del 2011 (già minimo storico dal 1996), ad un altro minimo con 86 milioni di euro nel 2012, si registra un -51% lo scorso anno e un -88% dal 2008.
La cooperazione allo sviluppo è stato tra i programmi dei governi italiani che si sono succeduti, quello maggiormente penalizzato.
Il governo Monti si affretta a sottolineare che non è stata colpa loro se l’Italia non ha portato a termine gli impegni presi, e per bocca del ministro della Cooperazione Internazionale Andrea Riccardi fa sapere che “si tratta di un risultato negativo frutto sia delle scelte compiute con l’ultima finanziaria dal governo Berlusconi, sia della fine dell’emergenza umanitaria libica”.
Roma aveva promesso insieme ai Paesi dell’Unione Europea di aumentare i propri investimenti sugli aiuti allo sviluppo dello 0,33% del Pil 2006. Come si è visto l’obiettivo è stato mancato: secondo l’Ocse le donazioni italiane non hanno superato lo 0,20% del Pil.
Aggiunge Riccardi: “È vero che siamo ben lontani dagli obiettivi sottoscritti nel 2006, ma da allora il mondo ha subito dei profondi cambiamenti. L’Italia deve aggiornare i propri impegni alla nuova realtà perché siano credibili e realistici soprattutto agli occhi dei Paesi in via di sviluppo, delle economie emergenti e dei Partner G8”.
La UE ha dunque mancato l’obiettivo collettivo dello 0,56% per 14 miliardi di euro, il fatto che l’Italia insieme a Grecia e Portogallo abbiano avuto la maggior responsabilità non significa che gli altri Paesi dell’Unione siano stati più generosi, la brutta performance italiana si inserisce in uno scenario di calo generalizzato della generosità.
In generale gli altri Paesi europei hanno raggiunto il traguardo minimo: nel 2006 l’ammontare dei fondi destinati allo sviluppo è diminuito del 5,1% sommando tutti e 22 i Paesi donatori.
Nella classifica dei più generosi, al primo posto troviamo gli Stati Uniti con 22.739 milioni di dollari, a seguire il Regno Unito con 12.697 e il Giappone con 11.608. Tra i Paesi da prendere ad esempio bisogna citare la Danimarca, la Norvegia, la Svezia e il Lussemburgo, che sono riusciti a mantenere i loro impegni umanitari ben al di sopra del tetto dello 0,7% del Pil fissato dall’Onu.