Parole, parole, parole. E la Siria aspetta
Londra scalda i motori in vista del prossimo G8. Siria, Corea del Nord ed Iran tra i temi affrontati nel vertice della “City”. Eppure è ancora tempo di incertezze e attesa
di Martina Martelloni
Ministri degli Esteri che si stringono le mani, che si salutano, che si compiacciono vicendevolmente – pronti come sono a parlare di Paesi, di Storie, di persone. Peccato che si finisca a disquisire di economia o, ancor peggio, di strategia – di fronte a terre in fiamme come la Siria, la Corea del Nord, l’Iran.
Vertice di Londra conclusosi la scorsa settimana, diversi punti interrogativi sono sorti su come arginare minacce e conflitti – cercando di commisurare interessi diversi come quello russo e quello statunitense, che della Siria vantano posizioni contrastanti.
Ancora una volta nessuna soluzione chiara, decisiva, risolutiva. Al Assad può continuare ad agire strisciando tra la sua gente, armi alla mano e spalle coperte dal ruolo che gli appartiene per dinastia familiare, seduto su di una poltrona che da anni ed anni domina la popolazione siriana. Non di un governo si sta parlando ma di un regime totalizzante.
Ogni santo giorno, sporadiche notizie volano a noi come pezzi di carta. Vi leggiamo numeri di vittime e feriti delle sue bombe, delle sue milizie e della sua smania del terrore. Intanto a Londr,a ci si raduna attorno ad un tavolo per “trattare”, per “cercare”, per “confrontare”. Parole. Sempre e solo parole. La Siria attende da troppo tempo, oramai.
Con Pyongyang che lancia sassi da un lato, Cipro che crolla in borsa dall’altro e l’Iran che persiste nel testare le sue creature nucleari, non è decisamente il periodo migliore per totalizzare la concentrazione sulla terra di Damasco. L’inerzia però sta uccidendo più delle esplosioni.
I leader, i capi, i massimi rappresentanti all’estero dei big mondiali a Londra hanno affrontato la questione siriana avendo di fronte la legittima presenza di Ghassan Hitto e George Sabra – rispettivamente primo ministro dell’opposizione siriana e vicepresidente della Coalizione nazionale siriana.
Giacca e cravatta anche per loro. Anche loro seduti su quel tavolo, quello delle parole. Anche loro risucchiati dai tentativi di far nascere un’unica idea, un’unica azione congiunta per frenare una volta per tutte lo scempio umano compiuto dal dittatore Bashar al Assad. Il suo, non è un conflitto di sua creazione. La Siria sopravvive nel terrore dagli anni di Hafez al Assad, il padre di Bashar che era esattamente come l’attuale presidente siriano: stesse manie di autoritarismo che hanno alimentato le dispute interne tra le tante ed opposte etnie siriane.
Fazioni di natura diversa per origini e tradizioni che hanno più volte trovato comune accordo nell’unico obiettivo condiviso: la fine del regime.
Di questo però, l’Occidente non ancora preso atto. Colpire Al Assad, finanziando le armi del ribelli. Sempre di più, fino all’eccesso, come sostiene l’Inghilterra. Può essere un primo passo, ma non il definitivo e decisivo.
Ci sono le radici che fremono in Siria e sono le religioni in lotta, le tante minoranze presenti sul territorio, i radicalismi ed i moderati. Ma soprattutto i civili. Usa e Russia in primis devono tener conto del mosaico etnico siriano, perché senza consapevolezza di questa complessa e variopinta realtà si rischia la guerra di tutti contro tutti. Hobbes docet.
La Siria attende una soluzione. Gli 8 big attendono il prossimo scambio di parole.