Gran Bretagna, svolta per il sistema bancario
Servizi separati e ricapitalizzazione delle banche: dal grave momento di crisi si uscirà con il Banking Reform Bill
di Sara Gullace
Negli ultimi tempi il banking britannico sta attraversando uno dei momenti più bui della sua storia, afflitto com’è da scandali e fallimenti vari. Negli ultimi cinque anni, infatti, gli istituti di credito hanno fatto ricorso all’intervento dello Stato per uno sforzo costato circa 75 miliardi di euro – che grava interamente sulle spalle dei contribuenti. La questione Libor, inoltre, ha provocato le dimissioni del Presidente della Barclays – Marcus Agius – mentre la dirigenza HBOS è attualmente sotto inchiesta per una fallimentare gestione che rese indispensabile, nel 2008, il rilevamento da parte della stessa Barclays e il successivo finanziamento statale per 20 miliardi di euro.
A fronte di una situazione evidentemente sfuggita di mano, Andrew Tyrie, a capo della Commissione Parlamentare per la supervisione del settore banche, ha proposto la linea dura. Lo scorso Febbraio era stato presentato il Banking Reform Bill, disegno di legge di significative riforme per il settore bancario al fine di aumentare sicurezza, flessibilità e solvibilità. Le tempistiche prevedono l’approvazione entro fine anno e la messa in atto per la prossima legislatura – mentre per gli istituti di credito è stato pensato il 2019 come termine ultimo per completarne l’attuazione.
La riforma prevede cambiamenti che stravolgono il sistema nazionale: le principali parlano della separazione delle attività tradizionali, di retail, da quelle più rischiose di investimento e della possibilità per le autorità regolatorie di scorporare gli istituti di credito che non si adeguino.
Provvedimenti presi sull’impronta del rapporto Vickers del 2011 che prevedeva un “ring fence“, un’area circoscritta ai servizi ritenuti essenziali per le banche – quali conti dei clienti, trasferimenti di pagamento e prestiti a piccole e medie imprese in grado di metterle al riparo da eventuali fallimenti e banca rotta.
Misure drastiche a garanzia del contribuente e dei risparmiatori. Presentando la proposta, Tyrie aveva motivato così: “Dobbiamo stabilire quello che è meglio per la Gran bretagna. Decidere quello che è giusto per il nostro settore, non aspettare un minimo comune denominatore dettato dagli standard internazionali”.
Ma i conservatori avevano affondato ancora di più la lama: tra le proposte più estreme era arrivata anche quella di prevedere un meccanismo per spezzare in due l’intero settore bancario al primo segnale di infrazione. Il governo però, temendo un potere eccessivo delle autorità regolatorie, si era opposto, con il risultato di inasprire la reazione: “Non si sta facendo abbastanza per una riforma che, dopo la crisi e gli scandali finanziari come quello del tasso interbancario Libor, dev’essere davvero radicale” avevano protestato.
Quanto ha disposto la Banca d’Inghilterra sin da ora, invece, segue le raccomandazioni sulla vigilanza bancaria di “Basilea 3” e prevede un’attività di “rigonfiamento” dei capitali, i famosi “cuscinetti” predisposti per eventuali perdite su prestiti futuri: in questo modo, qualora si presentasse un nuovo momento di difficoltà, non sarebbero i contribuenti a farne le spese (nel senso letterale) ma i vari stockholder e creditori.
Capitale aggiuntivo di 30 miliardi di euro per dimostrare di essere nuovamente pronti a competere in modo indipendente, addandonando lo stato di salvataggio. Entro il prossimo Dicembre, tutte le banche devono aver provveduto.
Le riflessioni sul provvedimento sono contrastanti: secondo il conservatore King, sarà un’opportunità per riaccendere i prestiti; ma diversi analisti temono che proprio questi ultimi possano essere limitati, nell’intento di recuperare il capitale necessario.