La proroga dell’agonia

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Prima rielezione nella storia della Repubblica. Giorgio Napolitano prende atto dell’impotenza di questi partiti

di Samuele Sassu

RegiorgioLa rielezione di Napolitano pone fine a una crisi che i grandi elettori in Parlamento non sembravano più essere in grado di risolvere. Si spiegano così le lacrime di Pierluigi Bersani, gli applausi e i sorrisi di Silvio Berlusconi e lo sguardo sornione di Mario Monti.

La frase di Napolitano: “Mi muove in questo momento il sentimento di non potermi sottrarre a un’assunzione di responsabilità verso la nazione, confidando che vi corrisponda una analoga collettiva assunzione di responsabilità”.

Dopo sedute parlamentare da incubo, è Bersani a supplicare per primo Napolitano. Crollate sotto le bordate degli avversari le proposte di Marini e Prodi per il Colle, i cui nomi sono stati letteralmente calpestati dalle suole sporche della politica in questi giorni, il segretario del Pd ha visto solo un piccolissimo spiraglio in fondo al tunnel. Riproporre Re Giorgio, a dispetto dei dubbi dello stesso presidente, ormai sfiancato da anagrafe e intolleranza verso una classe dirigente irresponsabile.

Napolitano accetta, viene eletto con 738 voti. È commosso, ma la catarsi dura poco per lasciare spazio ai toni perentori del capo: che tutti si mettano a disposizione per il bene del Paese. Non scioglierà affatto le Camere, come qualcuno probabilmente auspicava. Re Giorgio tenterà a ogni costo di mettere in piedi un governo di “salvezza nazionale”.

Sarà forse un mandato a termine. Tuttavia, nessuno si illuda: la Costituzione è perentoria riguardo alla durata dell’incarico. Sette anni su cui nessuno può obiettare. A parte il presidente stesso che, dall’alto dei suoi 87 anni, sarà libero di lasciare il Quirinale nel momento in cui riterrà di aver portato a compimento la missione.

Chi saranno gli uomini del presidente? Di certo, l’Italia assisterà non soltanto al secondo mandato consecutivo di Napolitano, ma anche a una nuova “strana maggioranza” successiva a quella che per un anno ha consentito a Monti di governare. Sarà costituita da Partito democratico, Popolo della Libertà, Lega Nord e Scelta Civica.

Napolitano non vuole più sentir parlare di inciucio: “convergenza politica tra partiti” sancirà l’inizio di questa fase politica. Dal colle, infatti, non si spiegano per quale motivo quello che in Germania viene definito “governo di grande coalizione”, in Italia debba essere etichettato come “governicchio” o “inciucio”. Classi politiche decisamente diverse, forse?

Il nome più accreditato per Palazzo Chigi sembra essere quello di Giuliano Amato. Presidente del Consiglio nel ’92-’93 e nel 2000-2001, è uomo di fiducia di Napolitano e sarebbe gradito al Pdl. Molto meno alla Lega e a una buona parte del Pd, che probabilmente preferirebbe Enrico Letta, affiancato da Angelino Alfano.

L’obiettivo del governo di scopo che si tenterà di formare sarà la realizzazione di un programma di riforme, seguendo le indicazioni dei dieci saggi di Napolitano. Alcuni di essi, integrati da un’obbligata presenza femminile, dovrebbero trovare posto all’interno del nuovo esecutivo. Alle Riforme andrebbe Gaetano Quagliariello, mentre il prossimo Guardasigilli potrebbe essere Luciano Violante.

Per i dicasteri dell’Economia e degli Esteri, invece, si giocano la partite più importanti: Napolitano proverà a convincere Fabrizio Saccomanni, attuale direttore generale di Bankitalia, per via XX Settembre, malgrado l’ombra di Monti. Tuttavia, al Professore non  dispiacerebbe nemmeno accedere alla Farnesina, per restare in prima fila a livello internazionale, in attesa della primavera 2014. In quella data saranno rinnovate le cariche dell’Unione e Monti aspira alla presidenza del Consiglio Europeo attualmente assegnata a Van Rompuy. Il Ministero degli Esteri è una sede molto affascinante anche per Massimo D’Alema. Da ex inquilino del Palazzo, intravede in quel ruolo il trampolino di lancio per succedere a Catherine Ashton, capo della diplomazia europea.

Nichi Vendola, che con Sel ha deciso di votare per l’altro candidato Stefano Rodotà, critica il Pd che ha scelto ancora Napolitano: “Rodotà avrebbe consentito di fare un governo con le forze di questo Parlamento, tenendo fuori Berlusconi. Hanno avuto paura e sono tornati indietro, invece di andare avanti. È in atto una restaurazione e preferiscono governare con Alfano pur di restare vivi, ma è un’illusione. È solo una proroga dell’agonia”.

 (fonte immagine:  http://it.electionsmeter.com)

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