Fratelli d’Italia, l’Italia s’è persa!
Sul Financial Times “Italy: lost in stagnation”. Un paese con un presente immobile e un futuro incerto. Come siamo visti da fuori
di Roberto Casucci
Il 19 Aprile scorso è apparso sulle colonne del Financial Times un articolo, complesso e al tempo stesso drammatico, sulla situazione economica e sociale del nostro paese. La fotografia che emerge agli occhi dei lettori stranieri del più importante quotidiano finanziario è eloquente. Già il titolo è fulminante “Italy: lost in stagnation” (parafrasato dal film di Sofia Coppola “lost in translation”), ma è il susseguirsi di dati negativi e sentenze pessimiste, che negano all’Italia qualsiasi speranza futura, a colpire profondamente.
L’apertura è dedicata alla realtà dolorosa della gestione post-terremoto dell’Aquila, che è eletta a simbolo di una nazione paralizzata. L’incapacità politica e amministrativa, unita alla mancanza di una visione di lungo periodo, ha veramente penalizzato una popolazione dimenticata e inerme di fronte all’immobilità che la circonda. Questo discorso è esteso a tutta la penisola attraverso un elenco di punti deboli ed esempi del declino dell’Italia.
Gli otto trimestri consecutivi di recessione segnano il peggior scenario dal dopoguerra. Spendiamo per l’istruzione pochissimo, poco più della Grecia. Le carceri sono le più affollate d’Europa. Avviare un’impresa da noi costa più che in Germania, Francia e Regno Unito. Il calo demografico negli ultimi dieci anni è stato limitato solo dall’afflusso d’immigrati. Peccato che molti di loro stiano andando via, insieme a migliaia di giovani. Queste dinamiche sociali sono sottovalutate nel dibattito mediatico interno nonostante siano le variabili fondamentali per il futuro di una nazione. Avere investito nell’istruzione di un giovane qualificato, che viene sottratto da un altro paese, è una sconfitta del sistema.
Poi ci sono i risultati odierni delle politiche passate. Il potere d’acquisto delle famiglie tornato ai livelli del 1990 e le aziende fallite dall’inizio dell’anno che superano le 4000 unità. Il debito pubblico che ha superato i 2000 miliardi e si avvia verso il 130% sul PIL. L’ombra di una sua ristrutturazione da parte di enti sovranazionali in un momento in cui la politica è assente. Un altro argomento sempre taciuto: la competitività. Ne è prova l’impossibilità di avviare alcun tipo di riforma a causa dell’inamovibilità dei sindacati e delle corporazioni. L’interesse dei singoli privati che supera quello pubblico.
A questo punto ci si domanda giustamente come mai gli italiani non siano scesi ancora in piazza a protestare con i forconi a causa della mancanza di lavoro e l’aumento della povertà. Secondo il Financial Times oltre il dato sul PIL ufficiale ce ne sarebbe uno sommerso, pari al 30%, e uno mafioso di 200 miliardi di euro. Il quotidiano ipotizza che questi siano i veri ammortizzatori sociali in mancanza dello stato. Anche se imprigionati da un nostro stereotipo classico, questo dato rileva l’importanza e l’efficacia economica che potrebbe avere la lotta e l’educazione alla legalità.
Lo stock di ricchezza degli italiani, popolo da sempre con un’alta propensione al risparmio, è dato in declino perché troppo legato al mercato immobiliare. E’ così, però, in assoluto, è numericamente uno dei dati più confortanti della nostra economia e in sede internazionale dovrebbe essere messo in luce. Invece vi è una lunga lista di marchi italiani passati recentemente in mani straniere: Valentino, Edison, Buitoni, Peroni, Ferretti, Ducati e Lamborghini.
La lente puntata sull’Italia bloccata, soprattutto dall’empasse politica, ha un doppio effetto. A livello internazionale, l’Italia appare sempre più sull’orlo della catastrofe. A livello interno, difettiamo di pianificazione di lungo periodo e di sensibilità sociale. Sicuramente all’estero non ci danno molte speranze.
(fonti immagini: lacomunita.blogspot.com; www.gazzettacommerciale.com)
qualcuno investirebbe in un’ azienda ben patrimonializzata ma con reddito negativo e trend ribassista?
la ricchezza dello stato in una situazione in cui il reddito è costantemente negativo ed inoltre le premesse possono esclusivamente far pensare ad un peggioramento,è un indice utile solo a calcolare il tempo che ci resta.
se la situazione non cambia il nostro considerevole patrimonio sarà utile solo ad allungare l’ agonia, quindi non vedo perchè a livello internazionale dovrebbero spostare l’attenzione sugli assets.
ciao e complimenti per l’articolo
In una logica di valutazione aziendale sono pienamente d’accordo sul fatto che il patrimonio sia solamente una grandezza storica. Al momento può essere utile per valutare la solvibilità. Per il futuro, se ci fosse una ristrutturazione, credo sia possibile una conversione degli assets.
sicuramente sarebbe un ottimo punto di partenza da cui partire,ci metterei anche il made in italy, tanto che l’ export nonostante si faccia di tutto per distruggere le imprese è in netto miglioramento, il problema è che se non si aumenta la produttività non c’ è futuro, se non si taglia drasticamente la spesa pubblica, non si aumenta la concorrenzialità, non si riforma la giustizia, non si diminuisce la burocrazia, non si fanno investimenti seri in settori strategici ecc. è tutto inutile!il mio timore, avvalorato dagli ultimi comportamenti dei nostri managers, è che queste cose non si faranno mai!nessuno vuole perdere la propria rendita di posizione,è troppo rischioso!vedo un brutto futuro dinanzi a noi!naturalmente spero vivamente di sbagliarmi!
ciao e di nuovo complimenti!