La Solitudine del Maratoneta: una storia di solitudine e libertà
Al Teatro Argot dal 23 aprile fino al 12 maggio l’opera di Alan Sillitoe con Alfredo Angelici che ci racconta la nascita di questo riadattamento teatrale
di Francesca Britti
Il 23 aprile esordisce al Teatro Argot La solitudine del maratoneta, un racconto breve di Allan Sillitoe, riadattato sullo schermo da Tony Richardson ed ora a teatro grazie a Nicola Pistoia, che ne ha curato il riadattamento. Ghigliottina ha incontrato l’attore protagonista, Alfredo Angelici, per conoscere meglio cosa c’è dietro questa grande opera, che apre una profonda riflessione sul senso di solitudine e libertà.
Una storia che nel racconto di Sillitoe è datata negli anni ’50 in Inghilterra mentre nel riadattamento teatrale siamo in “un non luogo e in un non tempo, può essere ieri, oggi e domani”. Sillitoe racconta il periodo degli angry young man di cui lui stesso è “il padre di questa generazione di arrabbiati. Arrabbiati perché il progresso e il benessere avevano promesso tanto ma poi non sono stati mantenuti e si vedono derubati di una promessa, di un sogno, di un futuro“.
L’incontro con Nicola Pistoia dà la possibilità ad entrambi di portare in scena questa grande storia di lotta e resistenza umana. “Con Nicola ci siamo conosciuti in teatro dove era venuto a vedermi, lui mi disse che ero perfetto per questa sua idea e pensa che lui voleva farlo da giovane. Mi fece leggere questo racconto e me ne innamorai“. Ma, da Londra, chi detiene i diritti dell’opera rifiuta la richiesta di Angelici e Pistoia per bene tre volte salvo poi cedere.
La Solitudine del Maratoneta racconta di “questo giovane maratoneta, Colin Smith, di cui si capisce già dalla prima battuta che è in riformatorio, talentuoso per la corsa perché era sempre fuggito. Ma non pensate al grande rapinatore. Faceva piccoli furti. Il direttore, occhio fino, lo vede. C’è la coppa inter-carcere che avrebbe dimostrato, qualora l’avesse vinta, che il suo sistema educativo era il migliore. In sostanza si voleva fare bello con il talento di questo giovane a cui propone una vita di agio. Queste sono promesse che ad un giovane del 1950, ma anche di oggi, sono molto appetibili. Di lì l’urgenza di raccontare questa storia contemporanea. Adesso ci sentiamo derubati del futuro, della progettualità.
Quella rabbia che noi abbiamo lui la mette al servizio del talento però quando corre riflette perché ci sono dei momenti nella maratona in cui si è fuori dal mondo. Io faccio la maratona e al 35esimo km sei nelle mani del Signore o chi è per te il tuo Dio. Reciti il mantra per lo spirito di sopravvivenza durante quel dolore che non è sofferenza in senso negativo, come dice Murakami in L’arte del correre. Colin trova la sua libertà e capisce che spesso la propria libertà non coincide con quella che solitamente definiscono libertà“.
Il maratoneta, quindi, attraverso le sue liberatorie corse, riflette sulla solitudine e ri-scopre un senso di libertà da tempo dimenticato. La solitudine e la libertà sono, allora, due facce della stessa medaglia? “Ogni maratona è una metafora di vita. Si corre in tanti nell’ultima eravamo 100.000 mila ma in quel famoso 35esimo km sei da solo. Ma non solo nel senso brutto di “aiuto” ma nel senso che la responsabilità della nostra sopravvivenza e libertà è nostra“.
Uno dei momenti più significativi dell’opera è quando il maratoneta si rende conto che la solitudine “è quella sensazione che è l’unica ed esistente realtà al mondo“. Per l’occasione, allora Alfredo Angelici ha voluto aprire un concorso letterario chiamato “Raccontaci la tua solitudine”: “Perché avendo fatto la maratona e dovendo fare questo spettacolo mi sono trovato a chiedere ai più grandi corridori del mondo che ho avuto l’onore di conoscere di dirmi cosa ne pensassero durante la corsa“.
Chi decide di raccontarle può scrivere a lasolitudinedelmaratoneta@gmail.com, verranno pubblicate sul sito lasolitudinedelmaratoneta.it o su facebook. Ed, inoltre, ogni sera dello spettacolo, che si protrae fino al 12 maggio, ne verrà letto uno.
Ma Alfredo Angelici non sarà solo sul palco. Insieme a lui altri due attori: Dimitri d’Urbano e Antonella Civale. Il ruolo di Angelici è quello del maratoneta narratore, che, appunto, racconta il suo passato di ladro e la sua vita tra agio e carcere. Si presenta in “smoking, bellissimo, lucido“, d’Urbano è il maratoneta nel presente ed infine la sorella del maratoneta, interpretata da Antonella Civale, che “nel racconto c’è ma non così forte e rappresenta la famiglia, il mondo da dove veniamo“.
Il riadattamento rimane, quindi, piuttosto fedele all’opera originale di Sillitoe. Un po’ per esigenze provenienti dalla casa madre di Londra un po’ per volontà di Pistoia il cui lavoro “è stato molto onesto e rispettoso“.
Il lavoro dell’attore, o meglio dell’ “artigiano”, come si definisce Angelici, mette l’uomo in riflessione con sé stesso e con il personaggio che sta interpretando. Ecco allora che tocca fare i conti con il senso più intimo del valori di solitudine e libertà: “Nel percorso di avvicinamento delle biografie a quella del personaggio e a quella tua, si arriva ad armonizzare il tutto, si arriva al 35esimo km. E per forza di cose succedono sempre delle magie per cui ad un certo punto del lavoro in tutto quello che accade sembra si parli di te. Alan Sillitoe parlava di Alfredo Angelici molto probabilmente“.
Il tema delle carceri è uno dei tanti punti critici del nostro Paese, continuamente discusso nelle aule politiche. E la conoscenza di questo mondo può rivelarsi utile ad affrontare con più coscienza il ruolo. È proprio il caso di Angelici che ha incontrato detenuti dei principali carceri di Roma da Regina Coeli a Rebibbia fino al carcere minorile. Una realtà in cui sembra non esserci speranza perchè “quando in un’età così giovane perdi l’etica, la morale, la possibilità dell’esempio e non ti si forma nella coscienza fai dentro e fuori. Purtroppo è un’ipotesi di cancro della società con la quale dovremo palleggiarci“.
E se gli si chiede perché secondo lui vale la pena vedere lo spettacolo risponde ironicamente: “Secondo me non vale la pena di vedere lo spettacolo anzi vi prego di non venire, è uno spettacolo noioso e breve quindi rischiate di non annoiarvi. L’ultima volta, mentre vedevo uno spettacolo un bambino accanto a me disse “che palle mamma” e la mamma gli disse “zitto questa è cultura”. Ecco questa non è cultura il nostro è intrattenimento“.
“La Solitudine del Maratoneta“
di Nicola Pistoia
Con Alfredo Angelici, Dimitri D’Urbano, Antonella Civale
23 aprile – 12 maggio
Teatro Argot Studio, Via Natale del Grande 27, Roma
Info: 06 5898111 / 3929281031
Una risposta
[…] Colin Smith nel passato e la sorella del maratoneta, che come sottolineato da Angelici nell’intervista per Ghigliottina di lunedì scorso, “nel racconto c’è ma non così forte e rappresenta la famiglia, il mondo da dove […]