Roma e Amor di Alighiero Boetti
Opere inedite ed opere celebri per ricordare quella Roma Musa per Alighiero Boetti
di Caterina Mirijello
Duplice, poliedrico, innovativo e estremamente mistico. Questo è il Boetti che la Fondazione Maxxi sta regalando ai suoi habitué fino al 6 ottobre 2013. Non è un caso che Roma celebri questo grande artista italiano. Come non lo è la scelta di dedicagli lo spazio esterno del Museo del XXI secolo.
Alighiero Boetti o Alighiero e Boetti si trasferì a Roma nel 1972 e da quel momento i suoi occhi misero da parte la bicromia dell’arte povera che caratterizzò il suo stile fino a quel momento, per caricarsi di toni decisamente diversi.
E’ Roma a caratterizzare questa mostra e prima di tutto il rapporto che l’artista esprime con questa città. Caciarona, disordinata, dai mille volti, colorata, eccessiva, variegata, la Capitale d’Italia risveglia in Boetti sensazioni che innescano processi creativi del tutto nuovi. L’arte Povera è d’un colpo rimpiazzata da una scia multicolore in cui ogni nuances è la dichiarazione di un sentimento e l’iniziazione ad un processo mistico che condurrà l’autore verso la scoperta dell’Oriente.
Nel capoluogo della transavanguardia italiana, Boetti scopre l’Oriente. Il “non-luogo” da lui stesso definito, in cui l’atmosfera politica non si immischiava troppo con la quotidianità di un’arte fatta di alienazione e proiezione verso il nuovo e il diverso. E’ proprio a partire da questi anni che Boetti inizia a visitare l’Oriente e, successivamente, a stringere quel legame forte con l’Afghanistan, luogo da lui prediletto e sorgente di ispirazione di molte sue opere.
Se egli è rinomatissimo per le mappe del mondo, incorniciate dalle bandiere politiche, (chiaro riferimento alla situazione socio-politica dell’epoca), queste opere ne rappresentano anche il tentativo di un’esaltazione mistica che parte dalla concretezza dell’oggetto per evolversi in una visione smaterializzata del reale, in cui è solo lo spirito e la fantasia a determinare i limiti.
Un’unione e disgiunzione, tipica della dualità di Boetti, (espressa anche dalla sua firma Alighiero e Boetti) in cui il tempo è visto e letto nella sua variante sia cronologica che simbolica, da qui lo sfondo chiaro di uno degli arazzi raffigurante il planisfero, (anche se secondo alcuni critici questa tonalità fu scelta dalle donne addette alla tessitura in quanto non avendo mai visto il mare non ne conoscevano la sua tipica tonalità).
Eppure il processo di misticismo cromatico si evolve fino a raggiungere la massima espressione che un uomo possa cogliere con il senso della vista: la combinazione cromatica con le parole. Tre facciate del padiglione espositivo del MAXXI completamente ricoperte dagli arazzi sui quali la suddivisione geometrica degli spazi si fonde in contrasti di colori e sinfonie di parole. L’alternarsi di Poesie in italiano e in farsi producono un senso di disorientamento e perdizione, in cui la curiosità cognitiva è limitata dalla presenza di una lingua “altra”, anche se spinta alla massima apertura conoscitiva grazie al turbinio di colori presenti.
E tuttavia gli arazzi sono solo una minima parte di tutte le opere presenti nella retrospettiva, in cui il volto di questo spettacolare artista è dispiegato nelle sue infinite accezioni: la sua intimità più fragile, il suo rapporto di padre con la figlia (nell’opera “Faccine“) e la sua complicità artistica con Francesco Clemente e Luigi Ontani. Un amore per una città che gli ha rivelato il mondo.
a luglio sarò a Roma e spero davvero poter vedere la mostra! 🙂