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La Seconda Repubblica è implosa, ma la svolta non arriva. Da Napolitano a Letta: la gerontocrazia al potere

di Adalgisa Marrocco

lettaE’ accaduto qualcosa di grande. Avvenimento che ricorderemo, tra le istantanee meno gloriose della storia italiana. E’ imploso un sistema anche se, la coscienza del nucleo stesso che abbiamo visto deflagrare, ancora deve rendersene conto.

Una patetica e snervante ricerca di un nuovo capo dello Stato che, alla fine, si è risolta con la scelta più facile: rieleggere l’ottantottenne presidente uscente per salvare la faccia, per non ammettere che non si sarebbe riuscito altrimenti.

Un fallimento avvenuto durante un momento solenne per le istituzioni, ma paradossalmente adattissima allo scopo. Le contraddizioni della politica che fin’oggi abbiamo conosciuto sono emerse, tutte. Tradimento o posizioni distanti, franchi tiratori o esponenti di corrente: comunque sia andata e di chiunque sia stata la colpa, rimane il merito di aver scoperto le carte. Di aver fatto capire agli italiani che di questo sistema politico non ne abbiamo più bisogno.

Autoreferenzialità, ottusaggine e personalismi. Sono questi i mali che hanno ucciso i partiti. Organismi politici non più autosufficienti, che vengono commissariate all’autorità del Quirinale. Un presidente della Repubblica che diventa re e punisce gli uomini di corte con frustate sotto forma di filipicca, accolte tra gli applausi di chi non comprende che il problema risiede in loro stessi. Applausi che sembrano un collettivo scaricabarile, tra incoscienti del male procurato all’Italia in maniera individuale. Nessuno escluso.

Quella stessa incoscienza, quel distacco dal mondo reale che si respirava in sede di Direzione Nazionale del PD del 23 aprile. Una diretta streaming che ha visto andare in scena il funerale di una delle vittime della deflagrazione politica avvenuta. Con un segretario dimissionario umanamente compatibile nella sua disperazione, esponenti che raccontano personali disavventure al ristorante, altri che parlano di alternatività (in realtà, inesistente) e chi pronuncia la parola “compagno”.

Un riassunto della sagra dell’anacronismo che, solitamente, chiamiamo col nome più comune di “politica italiana”. Un attaccamento all’apparato, a logiche che non possono corrispondere più alle esigenze del Paese. Non è più tempo di nascondere la polvere sotto il tappeto.

E, alla fine, come soluzione assurda arriva l’incarico ad Enrico Letta, un “giovane” che non sa di nuovo, un figlio della gerontocrazia che serve solo a fare da collante tra le istanze di un PD deflagrato e quelle degli altri protagonisti dell’inciucio.

Se c’era una scelta che poteva deludere, quella era proprio la nomina di un nome come quello di Letta, nipote. Uno scenario da brivido che, visti i presupposti di non-concordia emersi nelle ultime settimane, lascia presagire un fallimento o, tuttalpiù, la formazione di un esecutivo che lavorerà a singhiozzo.

La svolta che non si realizza, rimane lo stallo a favore del vecchio.

(fonte immagine:http://www.ilmattino.it/)

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