Il Bahrein non ha mai taciuto
Mentre il mondo ammirava la vittoria di Vettel nel GP di Formula 1, la popolazione sciita è scesa in strada gridando la sua esistenza al regime sunnita
di Martina Martelloni
I motori dal rombo eclettico ed elettrizzante, i colori dalle sfumature in vernice laccata, gli stemmi e le scritte aggressive del rispettivo marchio di fabbrica: sono le macchine della Formula 1, si presentano con ostentazione sulle piste e stavolta danno sfogo della loro potenza nello stato del Bahrein.
Nel Golfo Persico, un arcipelago di isolotti dalla storia che parla lingua inglese per via di un protettorato terminato solo nel 1971 fa suo il nome proprio del Bahrein – che di fatto è una monarchia ereditaria. L’ordinamento vigente si basa sulla costituzione del 2002, testo solenne che nonostante riconosca alcune libertà personali e politiche, incide nero su bianco rilevanti prerogative del sovrano per il controllo dei tre sommi poteri: legislativo, esecutivo, giudiziario.
Nel 2013 si protesta, nel Bahrein. E le ultime urla di rabbia si sono sollevate nei giorni del Gran premio Formula 1. Le voci gridanti e i piedi marcianti erano e sono della maggioranza sciita della popolazione. Il 70% del Paese è sottoposto e sottomesso da una minoranza dirigente sunnita, al potere da anni in quello sbriciolarsi di terre nel Mare Arabico.
Quella primavera araba che tutti noi ricollochiamo nel nord Africa e in Medio Oriente ha travolto ed assuefatto anche i cittadini sciita del Bahrein. Forse, quel 2011, anno di rivolte e di ribalte non conosce ancora il suo Capodanno ed ancora oggi, a due anni dal suo fiorire, non trova rifugio e soddisfatta calma in un contesto politico e sociale che impone il dover manifestare e provare la rivoluzione.
Chi vive nel Bahrein è testimone delle disparità sociali tra le due diverse etnie. Quel 70% sciita chiede lavoro e non ne ha, chiede la possibilità di esprimersi e non ne ha. Indubbia è l’aria di fomento proveniente dal Libano di Hezbollah e dell’Iran, terre di natura sciita, che incitano la popolazione alla resistenza nei confronti del governo sunnita.
Indubbio è anche l’interesse degli Stati Uniti d’America che nel Bahrein vanta il poderoso stanziamento della Quinta flotta, strumento essenziale per il controllo dei mercati e dei commerci di armi e traffici della compagine terrorista. L’Iran è sotto l’occhio degli americani che silenziosamente e cautamente osservano e scrutano da quel lembo di terra steso nell’incavo del Golfo Persico consacrando così il Bahrein come un prototipo di alleato non appartenente alla Nato.
Politicamente parlando, sono due i partiti d’espressione sciita che invocano le dimissioni della monarchia sunnita o la formazione di un governo che dia spazio e parola alla maggioranza sciita, Al- Wifaq e Al-Haq. Il primo parla moderato, l’altro è estremamente spudorato e radicale.
Nessun dialogo all’interno del Parlamento, nessun accordo e neppure ascolto è stato mai realizzato nel Bahrein. Così la violenza è divenuta la via prediletta per ribadire posizioni contrastanti. Da mezzo indiscusso e doloroso si è mutato però in motivo di lotte intestine che non riescono a trovare la loro primavera e a dar vita ad una soluzione pacifica e negoziata tra i due rami etnici che hanno in comune non solo le origini religiose ma anche e soprattutto una terra.
Ed intanto da questa parte del Mondo si gode di quel rombo, di quel colore e di quella potenza artificiale indifferenti di quell’altra potenza naturale del popolo Bahrein.