‘La solitudine del maratoneta’: una corsa verso la libertà
Alfredo Angelici al Teatro Argot di Roma nei panni di Colin Smith nell’operata di Alan Sillitoe con la regia di Nicola Pistoia
di Francesca Britti
“Un giovane arrabbiato, l’abitudine al furto, un talento per la corsa”. È Colin Smith, corridore detenuto al riformatorio. Uno degli angry man degli anni ’50 che Alan Sillitoe nella sua opera ‘The loneliness of the long distance runner’, tradotto poi in italiano in ‘La solitudine del maratoneta’, ha rappresentato spesso nelle sue opere diventando uno dei simboli della letteratura inglese di quell’epoca.
Per la prima volta arriva in Italia a teatro grazie alla determinazione di Nicola Pistoia, regista del riadattamento teatrale, che insieme ad Alfredo Angelici, protagonista dello spettacolo, ha lottato per ottenere, non senza difficoltà, i diritti di quest’opera.
Nello scenario del Teatro Argot di Roma, allestito da Morena Nastasi, Alfredo Angelici, Dimitri d’Urbano e Antonella Civale hanno fatto rivivere gli anni degli arrabbiati che, negli anni ’50, hanno rivoluzionato l’Inghilterra, tra cui lo stesso Sillitoe.
Una storia coinvolgente ed intensa, brillantemente raccontata dai tre attori nei panni rispettivamente di Colin Smith come voce narrante di sè stesso e della sua vita nel presente, Colin Smith nel passato e la sorella del maratoneta, che come sottolineato da Angelici nell’intervista per Ghigliottina di lunedì scorso, “nel racconto c’è ma non così forte e rappresenta la famiglia, il mondo da dove veniamo”.
Colin Smith si allena per la maratona del carcere e, in caso di vittoria, sarebbe libero. Ma la libertà per lui non è stare fuori da quella gabbia dov’è rinchiuso. La libertà risiede in quel senso di solitudine che ri-scopre durante le sue corse liberatorie, quando pezzi di vita, come il rapporto con il padre o il faccia a faccia con il poliziotto che lo arresta o ancora gli scontri con il direttore del riformatorio, gli passano davanti agli occhi capendo che la libertà non è quella che ci raccontano.
La maratona rappresenta, quindi, la “metafora di vita” della “sopravvivenza” dell’essere umano. E negli ultimi scatti prima di tagliare il traguardo Smith fa una scelta che a qualcuno non piacerà e lascerà tutti sbigottiti. Quella sua scelta è per la sua sopravvivenza, per la sua vera libertà.
La rappresentazione spinge anche ad una riflessione sul tema delle carceri, in particolare quelle italiane sovraffollate. Il riformatorio, rappresentato in ‘La solitudine del maratoneta’, è simile al carcere minorile. Un luogo dove la speranza non esiste. Il cancro della nostra società, ha affermato Angelici, perché “quando in un’età così giovane perdi l’etica, la morale, la possibilità dell’esempio e non ti si forma nella coscienza fai dentro e fuori”.
In occasione dello spettacolo il regista Nicola Pistoia e Alfredo Angelici hanno ideato un’interessante iniziativa chiamata ‘Raccontaci la tua solitudine’, che consiste nel raccontare la propria esperienza di maratoneta o anche più semplicemente tirar fuori quelle sensazioni di solitudine e libertà che capitano nella vita quotidiana. I propri racconti possono essere inviati a lasolitudinedelmaratoneta@gmail.com e verranno poi pubblicati sul sito lasolitudinedelmaratoneta.it o su Facebook.
Lo spettacolo, che ha esordito ieri sera, si prolungherà fino al prossimo 12 maggio al Teatro Argot di Roma.