Il Cile del “No” arcobaleno

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Il plebiscito del 1988 doveva essere il trionfo della dittatura, ma quel “No” al referendum sancì la fine della dittatura di Pinochet

di Guglielmo Sano

547713_10200152714554266_581683862_nLe vicende del Cile, paese di Allende poi di Pinochet, si sono perse nei meandri della storia. Tornano alla ribalta negli ultimi tempi, come spesso accade, grazie ad un film. Le storie di questo paese hanno tenuto il mondo con il fiato sospeso per molto tempo, gli eventi politici e sociali che lo hanno sconvolto entravano spesso nel dibattito politico europeo – ma non solo.

Tra i primi anni 70 e la fine degli 80, il Cile era al centro di una disputa globale, era il campo di battaglia sul quale combattevano visioni della società e proposte politiche contrastanti. Talvolta mostrato come esempio virtuoso, talvolta come fatale sconfitta dell’umanità, come percorso necessario o come strada da non imboccare per nessun motivo, il Cile nel 1988 ha trovato la sua via, pacificamente e onorevolmente. Piccola candela accesa nella stanza buia della Storia.

1970: Allende viene eletto presidente della Repubblica Cilena, primo Marxista a ricoprire tale carica nelle Americhe. Il suo programma prevede misure economiche drastiche: nazionalizzazione delle maggiori industrie private, dalle miniere alle banche, tasse sulle plusvalenze, sospensione del pagamento del debito internazionale e degli incentivi alle scuole private. Dall’altro lato il suo governo promuoveva l’istituzione del divorzio, incentivi all’alfabetizzazione, tutele sociali di vario genere ed aumenti salariali, la garanzia di ricevere mezzo litro di latte al giorno per ogni bambino.

Tuttavia le sue riforme non stimolano l’economia del paese, al contrario la deprimono, determinando l’aumento dell’inflazione, fino al 700%. Allende si era inimicato la medio-alta borghesia, la Chiesa, le potenze internazionali, ma perdeva credito anche nell’assemblea nazionale. Quest’ultima arrivò a chiedere all’esercito di rimuovere il presidente, per proteggere la Costituzione e per fermare la presunta violazione dei diritti umani operata dal governo, la mozione non ottenne i voti dei due terzi del Parlamento, sebbene avesse raggiunto la maggioranza relativa, non fu approvata.

1973: Pinochet capo dell’esercito che, fino a quel momento, era stato fedele al governo, potendo contare sul bene placito degli Usa di Nixon, abbatte il governo. La Moneda, il palazzo presidenziale, viene bombardato e Allende si toglie la vita pur di non consegnarsi – per gli amanti delle date: era un tragico 11 Settembre. Comincia una dittatura lunga 17 anni. Feroce, crudele, sadica sarà la repressione delle opposizioni e del dissenso, migliaia di morti e desaparecido. La battaglia di cifre è ancora in corso, l’ultimo studio compiuto parla di 40.000 vittime, un vero e proprio genocidio. La democrazia in Cile era forte sin dall’indipendenza, solo un violento dispiegamento di energie avrebbe potuto abbatterla.

Tuttavia Pinochet rilancia l’economia: affidandosi a giovani economisti della scuola di Chicago, ferventi sostenitori del Laissez-faire, di quella mano invisibile che regola il mercato per cui la ricchezza di pochi dovrebbe portare un aumento del benessere collettivo. Ancora oggi, nelle sue versioni più o meno hard, tale concezione ci fa scontare il pericolo di gravi crisi economiche che colpiscono soprattutto gli strati più indifesi della società.

Pinochet si accredita così a livello internazionale: dalla Thatcher a Wojtyla, la normalizzazione è avvenuta – mentre i diritti umani continuamente calpestati passano in secondo piano. Nel periodo d’oro del despota, alcuni analisti partono dall’esempio costituito dal suo governo per affermare che, in un contesto economico stagnante e recessivo, la dittatura di modello cileno possa essere un’ottima via per favorire la ripresa.

1988: le pressioni internazionali, negli anni 80, cominciano a diventare sempre più forti. La comunità internazionale spinge Pinochet a indire un referendum con cui legittimarsi agli occhi del mondo. La violenza del suo regime, l’ultramilitarizzazione del suo governo non riescono più a passare inosservate. Il popolo cileno verrà chiamato, nell’estate del 1988, a scegliere: prolungare il mandato presidenziale di altri 8 anni oppure votare attraverso libere elezioni un altro governo. Il potere sottovaluterà l’importanza delle votazioni. Sicuro di vincere, il regime troverà la definitiva sconfitta ad attenderlo.

La storia raccontata da “No”, film di Pablo Larrain candidato anche all’Oscar per il miglior no-i-giorni-dellarcobaleno-teaser-poster-cile-1_midfilm straniero, parte da qui. Narra di come venne ideata e realizzata la campagna “pubblicitaria” per il “no” ad opera di un creativo di nome Renè Saavedra che, sfruttando le armi del marketing pubblicitario ma soprattutto la forza del sogno di un paese più “allegro”, porterà alla definitiva sconfitta del regime.

“Cile: l’allegria sta arrivando” questo era il motto della campagna dei sostenitori del “no arcoiris”, del “no” arcobaleno. I morti, i desaparecido, non venivano dimenticati, la ferita era troppo profonda, ma per battere il regime serviva qualcosa di diverso, un concetto che arrivasse a tutti, che permettesse a giovani e vecchi di identificarsi e riunirsi all’interno di un sogno, il sogno di un paese diverso, più simpatico e più allegro, “dove un cileno non avrebbe mai più avuto paura di un altro cileno”.

“Allegria” in spagnolo non identifica un concetto individuale, superficiale e banale. Con questa parola si vuole identificare uno stato collettivo, un’atmosfera di pace e rispetto che permette di aprirsi al sogno e all’utopia. Il regime aveva successo nel campo economico, ma aveva depresso gli animi, terrorizzato e sconvolto le menti, il Cile aveva bisogno di libertà, di democrazia, insomma, di riappacificarsi all’interno di un progetto.

Il Cile aveva bisogno di speranza. Con l’allegria si sarebbe riusciti a costruire un paese migliore dove, attraverso il rispetto della dignità e della vita, anche il ricordo delle vittime avrebbe assunto tinte più vivide e significative. L’allegria avrebbe costruito un paese nuovo, dove nessuno spazio sarebbe stato più concesso ad un passato di paura, ad un passato di privilegi, ad un passato di morte. Nel 1988 il Cile si è aperto al sogno, attraverso il sogno ha cambiato se stesso e il mondo.

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