Il Regno Unito taglia il Welfare
Misure punitive contro i profittatori e restrizioni in tutti i settori: è la risposta di Cameron alla crisi
di Sara Gullace
Probabilmente serviva un capro espiatorio a questa crisi che ha finito per colpire un Regno Unito che fino a qualche anno prima era esempio di produttività, d’impiego e Welfare. L’attuale governo ha individuato i “parassiti” del caso in quanti, negli anni precedenti, hanno goduto di sussidi ed assistenza sociale elargiti con troppa generosità e disattenzione da parte dei laburisti.
E’ nata così la riforma del sistema sociale, la Welfare Reform Act, firmata dal Primo ministro in persona, David Cameron, dal cancelliere Osborne e dal Ministro del Lavoro, Duncan Smith – con l’obbiettivo di ostacolare la “dependency culture” per cui i ceti meno abbienti della Gran Bretagna preferirebbero vivere sulle spalle dello Stato piuttosto che cercarsi un lavoro e rendersi indipendenti. Una politica anti scroccone, si direbbe dalle nostre parti.
Secondo lo stesso Cameron: “L’assistenzialismo precedente era diventato economicamente insostenibile. Soprattutto – ha spiegato – incentivava l’irresponsabilità, l’idea di aver diritto a qualcosa gratuitamente“.
Appoggiata, alla fine, anche dal Labour Party (i social democratici inglesi), la riforma è entrata in vigore dallo scorso 1 Aprile: prevede 42 cambiamenti al sistema sussidiario per un risparmio stimato di 18 miliardi di sterline (ovvero 21 miliardi di euro) per il 2015 ed un immediato taglio all’intero welfare di 16 miliardi e mezzo. I punti che maggiormente incideranno sulla popolazione sono tre: il Council Tax, il Personal Indipendence Payment e la Bedroon Tax.
Il Council Tax, prevede decentramento e devoluzione all’amministrazione locale dell’assistenza con annesso taglio al budget del 10%. Il Personal Indipendence Payment riguarda i disabili e viene a sostituire il precedente sussidio che erogava in base al tipo di disabilità mentre l’attuale pagherà l’effettivo disagio che questa provocherà al portatore. Per riuscire ad essere tanto peculiare sarà necessario colloquiare gli assistiti e deciderne, secondo criteri standardizzati, il livello di disagio.
La Bedroom Tax, nonostante il nome, non è una tassa a tutti gli effetti ma un criterio per livellare e limitare l’erogazione di assegni familiari a chi, tra quanti si appoggino al sistema assistenziale delle abitazioni, disponga di stanze “in eccesso” – ovvero non strettamente utilizzate per dormire, nella casa in cui vive. In linea di principio, quanti sono in età lavorativa e richiedano il sussidio di disoccupazione disponendo, al contempo, di una stanza inutilizzata perderanno il 14% del totale dell’assegno ed il 25% se hanno più di una stanza vuota. Se questa suddetta stanza serva per altro, pazienza.
Lo Stato entra in casa, misura le tue disponibilità e decide anche che i bambini al di sotto dei 10 anni possono condividere la cameretta a prescindere se siano maschi e femmine mentre questa discriminante vale al raggiungimento dei 16 anni: una stanza per le femmine ed una per i maschi. Le coppie di una casa hanno diritto ad una loro camera mentre non lo hanno i figli che vadano a trovare i genitori separati: quella stanzetta tenuta a disposizione per il fine settimana (o quello che sia) comporta un taglio al sussidio. Per i disabili: le badanti hanno diritto ad una stanza mentre il coniuge dovrà fare speciale richiesta dimostrando di non poter condividere lo spazio per “concrete” ragioni.
E non è tutto: si mette male anche per le famiglie i cui figli studino fuori. Al momento basterà tornare a casa di mamma e papà 2 settimane l’anno per avere diritto alla propria cameretta mentre in futuro non ci si potrà assentare per oltre 6 mesi – pena il taglio dei sussidi.
Siamo davanti ad una riforma che vuole spingere quelle famiglie poco numerose che fruiscono delle abitazioni statali a cercarne di più piccole e lasciare il posto a nuclei familiari grandi ed in lista di attesa. Lo scopo è comprensibile, soprattutto in un momento di rigidità generale, ma l’attuazione rischia di punire non solo i veri profittatori ma migliaia di famiglie in evidente difficoltà.
Secondo David Orr, del National Housing Federation la Bedroom Tax non è una soluzione: “Il peggior modo di fare politica e gestire le riforme economiche da generazioni. A farne le spese – spiega – saranno centinai di migliaia di assistiti“. Tutti profittatori? Ovviamente no, come ha ribadito l’ampia protesta che si è estesa questa primavera in tutta la nazione. Da Trafalgar Square le parole di Sue Carter, rilasciate all’Observer: “Sono una madre single che lavora e dispongo di una piccola stanza per così dire “in più”. Ora dovrò scegliere tra mangiare, avere il riscaldamento o pagare il taglio al sussidio. Per anni – continua – ci siamo presi cura delle nostre case, anche apportando miglioramenti. Ora dovremmo essere sbattuti fuori?“.
La sensazione è che, ancora una volta, si tagli e si colpisca là dove le parti, disagiate, abbiano meno peso politico. E se anche la corrente più a sinistra, il Labour Party, non ostacola riforme populiste e massive, difficilmente usciremo da questa impasse.