La Grande democrazia e le sue crepe
Negli USA si scivola, sul tetto della libertà. Difficile rompere consuetudini oramai divenute tradizioni di un Paese che non sa dire addio alle armi e al proprio senso di onnipotenza mondiale che giustifica tutto, anche la guerra
di Martina Martelloni
George W. Bush è stato un presidente amato, odiato, disprezzato, biasimato e giustificato. George W. Bush ha sorretto il nome degli Stati Uniti d’America durante l’epopea della democrazia che fa la guerra al terrorismo. Anni difficili, incurabili, la cui prognosi è in gran parte ancora riservata su ciò che realmente spinse la famigerata Grande Democrazia a porre la maschera da guerriero e l’ira di Achille contro chi aveva osato, ingiustamente, ferire a morte l’anima di un popolo vivo dalle molteplici forme, colori, culture.
Per lui, per quel presidente repubblicano, è stata inaugurata una biblioteca sulla storia dell’America nell’era del suo mandato. Otto anni con il fronte conservatore al potere. L’evento ha mostrato le sue vesti migliori vantando sorrisi e facce formalmente onorate degli ex presidenti statunitensi. Bush padre, Bill Clinton, James Carter e l’odierno Barack Obama.
Giorni prima, nel Senato a stelle e strisce, si è smarrito volontariamente in un cassetto senza fondo un progetto nuovo che avrebbe potuto per una volta davvero cambiare le cose in quel paese dal clima Democratico. Il decreto per il controllo delle armi negli Usa è stata iniziativa di Obama, approvata al Congresso e brutalmente sterrata al Senato da una minoranza repubblicana – con qualche democratico a seguire. Ebbene: in tutto questo, un sottilissimo filo lega la biblioteca Bush al fallimento democratico nel palazzo del Senato.
Repubblicani conservatori, politica che ha origini antiche e che trova nella tradizione, nella giovane cultura e nell’orgoglio nazionale lo spirito guida per fare dell’America non Uno Stato ma Lo Stato.
Dopo i fatti dell’11 settembre, la discesa in guerra contro Afghanistan prima ed Iraq poi è stata ampiamente sostenuta da una parte di popolazione incredula ed irascibile e che ha fatto del “American First” il suo versetto biblico.
La fede, è totalmente e profondamente presente nello scenario appena descritto. Evangelisti e neoconservatori, coloro che adulano e divulgano la religione civile avente come divinità, fine sacro ultimo e pastore proprio il loro Paese.
“I venti soffiano a destra o a sinistra, i sondaggi salgono e scendono. Ma io resto sempre convinto che gli Stati Uniti hanno il dovere di diffondere la conquista delle libertà nel mondo”. A parlare è George W. Bush, e queste sono parole pronunciate con coscienza e dedizione proprio il giorno della presentazione al Mondo della sua biblioteca, della sua storia, del suo operato.
Le armi da fuoco celano, dietro quel grilletto, potenti ed immobili poteri economici. Lobbies che sostengono politici. Politici che giustificano e nascondono Lobbies in cambio di un piedistallo in più da porre sotto la poltrona del Congresso. Il mito americano, il sogno americano è anche molto di tutto questo.
Dove c’è multiculturalità c’è anche forte rigidità verso prospettive che potrebbero davvero modificare il dna americano. Non si tratta solo di politica, bensì di influenza sulla massa che il buon e vecchio nome degli Stati Uniti d’America, portatori di pace mondiale, trascinano nel tempo come vestito migliore da sfoggiare agli occhi della comunità internazionale.
Le proficue e stimolanti intenzioni di Barack Obama, tese a bloccare la corsa invisibile dell’abuso di armi, causa di morte e sofferenza, si fermano qui, di fronte al Senato e alla biblioteca Bush. Entrambi racchiudono al loro interno anni di politiche repubblicane che non godono affatto nel porre per una volta, una sola volta, gli Stati Uniti d’America da un lato, non da parte ma solo su di un gradino inferiore, e girando lo sguardo verso ideali ben più concreti e tangibili, poter finalmente tutelare il diritto alla vita, alla libertà. Quello che le vittime di Newton non hanno avuto modo e neppure tempo di dichiarare.