La giustizia civile italiana fanalino di coda in Europa
Tra le poche realtà nazionali degne di nota il Tribunale di Torino e il suo “Progetto Strasburgo”
di Lorenzo Tagliaferri
È evidente che l’Italia è il paese dei procedimenti civili, ma non è un paese “adatto” per procedimenti civili. Le cifre, chiarissime e poco lusinghiere, mostrano una realtà ormai lontana anni luce da giustizia e democrazia e forniscono un assist indiscutibile su quanto sia importante e quanto realmente incide sulla vita quotidiana dei comparti economici e non il malfunzionamento della macchina della giustizia.
Si parla di qualcosa come 6 milioni di fascicoli in giacenza presso i tribunali di tutta Italia, quantità che fa impallidire gli oltre 3 milioni per quanto riguarda le cause penali. Fascicoli che, se si trovasse il modo di chiudere, potrebbero valere circa un 5% di Prodotto Interno Lordo, che tradotto in “soldoni” sfiorerebbe la vertiginosa cifra di 100 miliardi di euro.
Un cumulo pecuniario che va visto nell’ottica dell’infinità di tempo che la giustizia italiana impiega per chiudere un procedimento civile e penale. Il rapporto Doing Business della Banca Mondiale ci colloca all’ultimo posto in Europa e al 158° nel mondo (su 183 paesi) in quanto a giorni di tempo che passano dalla prima udienza fino alla sentenza definitiva. Per una semplice disputa contrattuale, l’Italia impiega più di 1.200 giorni, circa il triplo di quanto impiegano Gran Bretagna (389), Francia (331) e Germania (394).
In parallelo alle cifre temporali corrono quelle dei costi che lo Stato deve sostenere per il precario funzionamento della macchina della giustizia. La Commissione Europea per l’Efficacia della Giustizia ha calcolato che nel 2010 l’Italia ha speso oltre 7,7 miliardi di euro per far funzionare l’intero comparto della giustizia. Davanti a noi si trovano solo Germania (13 miliardi), Gran Bretagna (10 miliardi) e Russia (9 miliardi).
Una macchina della giustizia che deve tutti i suoi malfunzionamenti all’infinità di tempo che la stessa impiega a sviluppare e portare a compimento gli innumerevoli procedimenti legali. Un problema che si fa evidente soprattutto al Sud, dove, in una città come Messina, la procura impiega circa 1.500 giorni per chiudere il primo grado di un processo civile ordinario. Il triplo di quanto impiega Torino (500).
A cosa è dovuta l’abissale differenza nei tempi tra le due procure? Fondamentalmente alla capacità di interagire ed elaborare i problemi che convivono nelle stesse. Nella procura di Torino lo hanno ribattezzato “Programma Strasburgo”, un’iniziativa voluta dal CSM, nel lontano 2001, all’indomani dell’approvazione della Legge Pinto, che imponeva un risarcimento economico per chiunque si fosse trovato a subire il danno morale di un processo esageratamente lungo.
Il “Programma Strasburgo” era stato pensato, inizialmente, come una sorta di censimento che potesse aiutare a definire i numeri delle cause civili rimaste inevase per più di un trentennio, a questo proposito si è poi, successivamente, incorporata una procedura operativa per poter eliminare le vecchie pendenze dividendo i differenti procedimenti per “macro aree” che includono differenti ambiti come il lavoro, le separazioni e i divorzi, le ingiunzioni, etc.
Questa divisione ha permesso di far scorrere molto più velocemente le differenti procedure non andando minimamente ad intaccare le tempistiche per le cause più recenti. Sensibili diminuzioni (escluse circoscritte eccezioni) si sono verificate in quasi ogni singola macro area permettendo alla procura di Torino di diventare la più veloce in Italia.
Nonostante la procedura sia piuttosto datata, quella della procura di Torino e del “Programma Strasburgo” è una realtà che in Italia deve essere esportata di procura in procura. Lo è per i costi che scenderebbero, per i tempi che si ridurrebbero e per una giustizia che mai più dovrebbe far attendere chi la agogna e la persegue nel corso di anni che sembrano essere infiniti.
Per saperne di più: tribunale.torino.it