La nuova ondata dell’arte in Arabia Saudita
L’idea dell’artista (e tenente colonnello) Abdulnasser Gharem: una fondazione interamente gestita da artisti, per supportare le nuove leve e per diffondere l’educazione artistica. Niente di strano, se non fosse che ci troviamo in Arabia Saudita
di Alessia Signorelli
È lo stesso Abdulnasser Gharem a dirlo, dalle pagine online di The Art Newspaper:”Il problema non sono certo i soldi, qui (Arabia Saudita n.d.r.) è pieno di gente con i soldi; la vera sfida sarà cambiare la mentalità. Un tipo di fondazione come questa, non esiste nella nostra cultura”.
La fondazione di cui parla, e della quale è ideatore “ardente” e capofila è l‘Amen Art Foundation, un progetto ancora in embrione, in via di sviluppo, che però già si presenta come totalmente innovativo e, in un certo senso, ardimentoso. Amen Art Foundation sarà, infatti, la prima fondazione in assoluto (con base a Riyāḍ) del suo genere dell’Arabia Saudita e sarà gestita interamente da artisti, impegnati a sostenere e supportare gli emergenti e a diffondere l’educazione artistica.
Una necessità sentita, fortissima, nata, come lo stesso Gharem sottolinea, alla luce della “rivoluzione artistica che sta attraversando l’Arabia Saudita”.
Gli fa eco, dal sito web ufficiale del progetto, Akim Monet il proprietario della galleria berlinese Side by Side, dove Gharem terrà, fino al 13 luglio, una mostra senza vendita delle opere, attraverso la quale illustrerà Amen Art Foundation ed inviterà il pubblico a documentarsi e, volendo, a contribuire al suo sviluppo.
Per Akim Monet, non era questione di “se”, quanto, piuttosto di “quando” si sarebbero verificate le condizioni ottimali per dare vita ad un qualcosa che, per noi occidentali è quasi scontato, quando, invece, per una società estremamente conservatrice come quella saudita, si tratta di un qualcosa al limite del rischioso (ma del resto, l’arte è rischio. L’arte facile, sicura, ha vita breve e lascia un segno blando).
Monet, che ha dichiarato il suo totale entusiasmo nei confronti della nascitura fondazione, tanto da offrire la sua galleria non solo come spazio espositivo, ma anche come laboratorio, come una “piattaforma di lancio” per Gharem e questo sua avventurosa idea, individua la necessità di Amen Art Foundation in tre punti principali: l’esposizione negli ultimi cinquant’anni alla cultura occidentale, da parte di un buon numero di abitanti della Penisola Araba, il crearsi in tempi recenti di città ad alto “tasso artistico”, quali Il Cairo, Beirut, Istanbul, Teheran e Doha e Sharjah e la creazione nel 2003-2004 del collettivo artistico Edge of Arabia – che ha poi portato alla mostra “Shattah” (“rotto” o “disincarnato”) a Jeddah, segnando un “punto di non ritorno” con frutti quali la partecipazione ad eventi di altissimo livello come, giusto per nominarne un paio, la Biennale di Venezia e quella di Berlino.
Quest’ultimo aspetto, la nascita del collettivo e il successo degli artisti che lo compongono, ha portato Gharem (che, oltre ad essere il maggior artista saudita vivente è anche tenente colonnello dell’esercito) a chiedersi se tutto questo (incluso il proliferare di gallerie d’arte) fosse “abbastanza” e quale fosse l’eredità per quei giovani artisti che iniziano adesso a farsi largo nel mondo.
E’ per questo, per poter offrire a tutti loro, inclusi film-makers e attori, un supporto vero, reale che Gharem ha deciso di lanciarsi in quest’avventura non priva di difficoltà che, come dicevamo all’inzio sono più di ordine socio-culturale che economico. L’arte rompe gli schemi, quando è sincera, si pone di traverso rispetto all’ordine precostituito, è cambiamento ed è un salto nel vuoto soprattutto in situazioni dove il conservatorismo è fortissimo.
Sia Gharem che Monet credono profondamente in questo progetto e lanciano un appello sempre dalle pagine del sito ufficiale, affinché chiunque voglia, possa contribuire e affinché si venga a creare quella fitta ed indispensabile rete di network necessaria alla sua sopravvivenza e alla sua diffusione. Sicuramente, seguiremo gli sviluppi di quest’idea che segna davvero un ennesimo momento di fortissima valenza storica per la Pensiola Arabica, per vedere l’esito, si spera positivo, di questa rivoluzione senza armi.