Piccola guerra lampo per radere al suolo la Sicilia di Giuseppe Rizzo
Alla Galleria Colonna di Roma la presentazione del nuovo romanzo del giornalista sulla ribellione di tre giovani contro la supremazia mafiosa siciliana nel loro paese, Lustica
di Francesca Britti
Ironico e comunicativo come Peppino Impastato, di cui ricorre domani 9 maggio l’anniversario della morte, seppur a differenza di quest’ultimo è convinto che la battaglia contro la mafia la possono fare soprattutto i magistrati, quelli “bravi“, e gli “sbirri“. Non i comuni cittadini, non i giornalisti, non gli scrittori. Ed invece, forse, i media e l’informazione (quella vera, s’intende) hanno un ruolo importante, se non determinante in certi casi.
Il 6 maggio presso la Feltrinelli di Galleria Colonna di Roma si è svolta la presentazione del secondo libro, Piccola guerra lampo per radere al suolo la Sicilia, di Giuseppe Rizzo, giornalista siciliano. L’aggettivo siciliano va scritto così, a sè stante, perchè la “sicilianità“, come ha sottolineato Rizzo, è un elemento identitario che probabilmente cittadini di altre regioni non possiedono. E Rizzo non lo dice con tono disprezzante verso gli altri ma come un dato di fatto che contraddistingue il popolo siciliano.
Un pensiero, supportato da Corradino Mineo, direttore storico di RaiNews, che, affascinato dalla scrittura di Rizzo, è intervenuto alla conferenza per raccontare la sua visione di lettura del romanzo e “lanciare” consigli di lettura. La parola su cui si è soffermato Mineo è: radici. “Non siciliani non abbiamo radici ma una fortissima identità. Ogni siciliano non ha bisogno della tomba“. Un sentimento di appartenenza ad una terra non strettamente in senso fisico, quindi. Quando Mineo e Rizzo parlano di questa sicilianità non è facile, per chi non è siciliano ma ci è andato solo da turista o studioso (come nel mio caso), capire esattamente di cosa parlano. Nessuno può descrivere la Sicilia se non chi la vive o l’ha vissuta, quindi solo un siciliano doc.
“Ma la mafia esiste ancora? Dov’è?” chiederebbero i miscredenti. “Ognuno di noi conosce chi sono i nomi mafiosi, con la generazione dei figli le cose sono cambiate. I padri sono stati carcerati e i figli hanno sperperato capitali in macchine, serate in discoteca, vite lussuose“. La Sicilia mafiosa di ieri e la Sicilia mafiosa di oggi a confronto. Nonostante le differenze esiste, e pare non si riesca a sconfiggere.
“Non sono solo i magistrati a combattere la mafia. Solo politicamente si può combatterla, svelando i rapporti di forza che ci sono fra Stato e mafia e attivare così la ribellione“. Il pensiero e le parole di Mineo corrono ad Andreotti, scomparso due giorni fà, e a quell’oscurità di un uomo politico che ha stretto rapporti con i “pidocchi“, come Rizzo chiama i mafiosi nel suo romanzo. “Un romanzo che è la risposta al nichilismo siciliano“, ha sostenuto con fermezza l’editore di Feltrinelli, Alberto Rollo, che giudica il libro “una ventata di freschezza in cui c’è una grande considerazione della generazione di Rizzo così come sulla Sicilia, di cui vengono sfatati molti topos“.
Il romanzo racconta di tre amici trentenni, Osso, Pupetta e Gaga che hanno due nemici: le minchiate e i pidocchi. Tre siciliani costretti a trasferirsi da Lortica a Roma, Berlino e Praga chi per studio e lavoro, chi per amore. Nonostante la distanza dal loro paese non si dimenticano di ciò che accade lì nel profondo Sud, in quel paese infestato di minchiate e pidocchi, per l’appunto. Fin quando non scelgono di tornare a casa con un piano grazie a cui sconfiggere queste minchiate, con l’aiuto di Mario detto Mario, un quarantenne scorbutico e idealista. Con la loro battaglia riescono a ripulire l’immagine della Sicilia ma rimane una domanda: “come li scacciamo questi pidocchi?”
L’ironia e la freschezza che contraddistinguono lo stile di Giuseppe Rizzo, per quanto divertenti, lasciano un po’ di amaro in Corradino Mineo che, ricordando Peppino Impastato, ha affermato che “prendere in giro i mafiosi come faceva lui è pericoloso, è importante essere sprezzanti, superiori ma, anche se è divertente nel romanzo, è una cosa che non si può sottovalutare“.
La risposta alla domanda che si pongono i tre amici allora, forse, è: in nessun modo, fin quando Lei sarà così radicata nella nostra cultura, ancor prima che nella nostra politica (e nei suoi rappresentanti).