Le conseguenze di un disastro
Dalle pagine di Artnews, la storia dell’artista americano Ray Smith e dei suoi colleghi che hanno trasformato l’uragano Sandy in un “collaboratore” inaspettato
di Alessia Signorelli (@signorellialexa)
Gli artisti sanno adattarsi – meglio ancora sanno adattare alla loro arte tutto quello (o quasi tutto) che succede a loro personalmente e intorno a loro e sono in grado di rigirare “ a loro favore” anche un fatto del tutto naturale ma non di meno violento e devastante come può esserlo un uragano.
Che poi sia stato “declassato” a tempesta tropicale poco importa, perché nei dieci giorni (dal 22 al 31 ottobre circa dello scorso anno) in cui Sandy si è abbattuto prima su Giamaica, Cuba, Repubblica Dominicana, Haiti, Bahamas e in seguito sulla parte orientale di Stati Uniti e Canada, ha lasciato come ricordo del suo passaggio più di 200 morti, una conta di danni con cifre da brivido e tutta una scia di perdite e dolore.
Su New York, Sandy, è calato il 29 ottobre, inondando, invadendo, trascinando via con se tutto quello che si è trovato di fronte, con la potenza irrazionale che è propria della natura quando si agita che ci piaccia o meno.
È entrato e ha devastato dove ha potuto e “voluto” – nelle case, nei posti di lavoro, nei laboratori degli artisti, che hanno visto le loro opere d’arte vecchie e nuove trascinate via o “rovinate” dalla furia dell’acqua. Eppure, quello che emerge dall’articolo di Rachel Wollf, critica d’arte e giornalista a New York pubblicato online da Artnews è l’altrettanto travolgente potenza degli artisti toccati da una tragedia del genere che hanno saputo, come nel caso di Ray Smith (la cui arte ha una forte connotazione folk con strisciate di Neo-Surrealismo), il quale una volta superato lo smarrimento e lo scoramente causato dal muro di più di tre metri che, abbattendosi sul suo studio di Brooklyn, ha distrutto o danneggiato le sue opere ha trovato in Sandy e nell’esperienza che ne seguita un “collaboratore” inaspettato nello sviluppare la propria arte – un nuovo corso, una vera e propria rinascita che ha coinciso con un’ accettazione di quanto accaduto e delle conseguenze, volgendo a proprio favore la perdita e trasformandola in una crescita sia personale che artistica.
Non è mancato il supporto da parte delle istituzioni, tra cui The Craft Emergency Relief Fund and Artists’ Emergency Resources e la New York Foundation for the Arts, impegnati in un supporto non solo monetario ma anche per quanto riguarda gli spazi espositivi e la parte più “intima” di un’esperienza tanto devastante quanto può essere sopravvivere ad un uragano senza più niente – o quasi.
Va da sé che ancora molti artisti stanno combattendo una personalissima e dolorosissima battaglia con lo shock della perdita e della destabilizzazione.
Il processo di ricostruzione del sé, a partire dalle proprie opere d’arte, è e sarà lungo e doloroso, come ogni percorso “terapeutico” – anche se qui non siamo affatto davanti al caso più trito di arte terapia per sé, quanto siamo spettatori della forza della reazione, del non arrendersi in questo caso declinato nell’universo artistico.
Sono degne di attenzione e riflessione le parole di Craig Nutt, responsabile dei programmi per The Craft Emergency Relief Fund and Artists’ Emergency Resources riportate dalla Wollf relativamente all’impatto che una tragedia altrettanto spaventosa come l’uragano Kathrina che mise in ginocchio New Orleans nel 2005 ha avuto sugli artisti dell’area che ne erano stati colpiti. Ad un anno dal disastro, durante una ricerca condotta dal Fund, alla domanda se ci fossero stati avvenimenti positivi risultanti dall’impatto di Kathrina “l’ottantacinque percento ha risposto di sì.”
La volontà di ricominciare e rielaborare si è espressa anche tramite mostre dedicate, come quella della fotografa Diana Cooper, che con la mostra “My Eyes Travel”, ospitata alla Postmasters Art Gallery recentemente, ha “omaggiato” i suoi lavori andati perduti a causa di Sandy.
Il coro è tuttavia unanime nel dichiarare che proprio in virtù della sua essenza più profonda e vera,l’arte ha il grande dono di raccogliere ed assorbire qualunque cosa, non solo materiale, ma anche più squisitamente metafisica, e questo la rende uno strumento privilegiato in quel processo delicato e rischioso che è il superamento – o quantomeno il venire a patti con – di un trauma tanto devastante: il coraggio di ricominciare da zero, rendendo il dolore e la perdita i materiali più plastici che si possano immaginare.