Don’t cry for me, Argentina
Jorge Videla è morto in carcere, all’età di 87 anni. Al dittatore argentino erano state comminate due condanne, per crimini contro l’umanità
di Domenico Spampinato
Correva l’anno 1976, quando il Capo di Stato Maggiore dell’esercito argentino prese il potere mediante un colpo di stato. Il 29 marzo, Jorge Rafael Videla si dichiarò presidente a vita, sospese la Costituzione e affidò ai membri della sua Giunta Militare l’incarico di formare un Governo da lui stesso presieduto. L’Argentina si apprestava a vivere uno dei momenti più spaventosi della sua storia, prendeva il via quel Processo di Riorganizzazione Nazionale in cui si verificò la massiccia violazione di qualsiasi categoria di diritto umano.
La Giunta Militare diede inizio a una violenta persecuzione dei cosiddetti montoneros – ossia degli oppositori al Governo, effettivi o presunti che fossero. Questi venivano ricercati per lo più nelle associazioni studentesche, sindacali e politiche e, una volta arrestati, venivano rinchiusi in dei centri di tortura clandestini – per lo più garage o officine meccaniche. All’interno di tali centri, essi venivano picchiati e torturati in maniera disumana, costretti a parlare e a riferire i nomi di altri, eventuali complici. Dopo di che, si perdevano le loro tracce. Per sempre.
Ed è proprio questo, il maggiore risultato di quell’esperienza governativa: quei desaparecidos, la cui unica colpa era quella di non appoggiare esplicitamente il brutale Proceso de Reorganización Nacional fortemente voluto dalla Giunta del generale Videla. Se ne contano 30.000, all’incirca.
In quegli anni drammatici, la comunità internazionale scelse di non esprimersi per condannare gli abusi di quella feroce dittatura che faceva affari con USA e URSS. E a ben poco valsero le pressioni presso il Vaticano delle Madres e delle Abuelas de Plaza de Mayo, quelle instancabili donne che non hanno mai smesso di cercare i propri figli e i propri nipoti e che dal 30 aprile del 1977, ogni giovedì, marciano di fronte alla “Casa Rosada” chiedendo giustizia per i propri cari – giustizia che ha impiegato molti anni, prima di mettersi in marcia. Troppi.
La “Guerra sporca” terminò nel 1983. Vennero indette elezioni democratiche e Ricardo Alfonsín, il nuovo Presidente, decise di istituire una Commissione di Verità per accertare le responsabilità dei militari in quella tragedia che ha prodotto ben 30.000 desaparecidos. Il Parlamento argentino, tuttavia, promulgò due leggi che si tradussero in una sostanziale amnistia, per gli uomini di Jorge Videla.
La svolta avvenne soltanto nel 2005, sotto la presidenza di Néstor Kirchner, quando la “Legge del Punto Finale” e la “Legge dell’obbedienza dovuta” vennero dichiarate incostituzionali. I processi vennero riaperti e Jorge Videla collezionò due condanne. Il 22 dicembre del 2010 gli venne comminato un ergastolo per i vari crimini contro l’umanità commessi negli anni in cui era presidente, cui si aggiunse un’ulteriore condanna a 50 anni di carcere per il “Robo de bebés” – il rapimento di quei bambini nati nei centri di tortura, strappati dalle braccia delle proprie madri e affidati alla consegna di nuove famiglie.
Jorge Videla è morto il 17 maggio del 2013, all’età di 87 anni. La popolazione argentina ha versato parecchie lacrime, negli anni della sua presidenza. Davvero difficile ipotizzare ne abbia serbata qualcuna anche per il generale.