Chi non #SalTo, indipendente è?
Tra Cile, Calabria e Creatività, si è concluso lunedì il 26° Salone Internazionale del Libro di Torino, lasciando dietro di sé lo spauracchio della Crisi. E qualche Critica
di Valentina Palermi
Un po’ “fiera libraria”, un po’ “festival culturale”, un po’ “spazio professionale”: il Salone Internazionale del Libro di Torino fa della sua poliedricità il cuore di un’identità “indipendente e anomala”, bastian contrario contro le logiche consumistiche e le “dinamiche che guidano le scelte culturali del pubblico” durante gli altri 360 giorni.
Dall’Appennino Calabro alle Ande Cilene – parafrasando De Amicis –, la 26ma edizione del #SalTo è partita all’esplorazione delle “frontiere dell’innovazione”, tuffandosi nelle “tumultuose mutazioni in corso, ricche di opportunità e potenzialità ma anche di pericoli”, con l’obiettivo di scoprire i segreti e i meccanismi della “fabbrica delle idee”, e mettere a punto una “grammatica della fantasia 2.0”.
Malgrado l’afflusso in crescita per l’evento, sia per numero di ingressi che per vendite e partecipazione ai convegni, la crisi economica è democratica con la cultura. Colpisce in maniera trasversale, portando a galla le difficoltà nel settore dell’industria editoriale, che nel nostro Paese registra una flessione dell’8% di fatturato nell’anno 2012 – come evidenzia un dettagliato reportage de Linkiesta attraverso i dati forniti da Alfieri Lorenzon, direttore dell’AIE (Associazione Italiana Editori) –, insieme a un calo dei consumi (-2,2% quotidiani, -3% periodici) e della voglia di lettura (-2,7%).
Colpa di soldi e fondi che non ci sono, ma a quanto pare anche della “Primavera Digitale”. La sua diffusione progressiva a scapito del (comunque) vecchio e insostituibile formato cartaceo, pesa già sui grandi gruppi (Mondadori, Felitrinelli e Rcs per citarne alcuni), e di conseguenza sul precariato tra i lavoratori del settore. Ma costituirà un’importante risorsa per le piccole e medie case editrici, oltre che un incentivo alla vendita degli e-book (con previsioni fino al 4% del mercato librario per l’anno in corso, e punte del 10% nel 2015).
Tuttavia, a livello internazionale, continuiamo a dimostrarci esportatori di (buona) cultura: per l’Italia, l’export garantisce margini di miglioramento grazie alle pubblicazioni d’arte e ai libri per ragazzi. Ma basta anche solo dare un’occhiata alle prime dieci posizioni di vendita nelle classifiche Europee e Mondiali, per scoprirci i nomi di autori quali Ervas, Gramellini, e Saviano.
“La crisi economica non corrisponde con una crisi di contenuti”, afferma infatti Lorenzon.
Non sembra però condividere il critico letterario Gian Paolo Serino, che su Satisfiction denuncia una trasformazione del programma del Salone Internazionale del Libro di Torino in un palinsesto – o meglio format – televisivo. Preoccupato, chiama “critici, scrittori, inviati culturali, intellettuali (esistono ancora?), lettori” a chiedersi come sia possibile accettare l’ “immobilizzazione” della manifestazione, pregandoli di disertarla, lasciando “per sempre il Salone ai vari Alberto Angela e Paolo Villaggio e Renzo Arbore e ai fondatori delle gelaterie Grom”.
Un’iniziativa “dall’identità indipendente e autonoma” – dicevamo –, trasformata in un “supermercato per vendere”, vuoi per effetto implicito della crisi (economica) che la cultura soffre nel nostro Paese, vuoi per una conditio accettata dagli stessi professionisti a cui si rivolge.
(Mal)umori provenienti dall’evento denunciano anche la “legalizzazione” dei blog, rei di portare più code agli accrediti stampa. Un disagio “funzionale” lamentato forse dal giornalismo d’antan, e riportato dalla Social Media Strategist/Digital Pr/Blogger freelance Giovanna Gallo. Soprattutto, un sintomo di quell’ “avvento massiccio del web nelle case di miliardi di utenti, che ha consentito alle idee di circolare più liberamente, “e che le stesse divenissero romanzo, poesia, aforisma o altro molto più velocemente che in passato”, decretando un aumento ragguardevole della produzione letteraria mondiale, come sostenuto dalla scrittrice Morgana Lucchesi.
Nel panorama della commercializzazione della cultura, l’analisi svolta da Andrea Bullado porta alla luce come queste realtà virtuali riescono a imporsi in qualità di “piattaforma potenzialmente più idonea ed ottimizzata per imbastire dibattiti culturali”, rivestendo un “ruolo fondamentale all’interno delle dinamiche (sempre culturali) di questo Paese” .
Tra il tentativo di “portare il positivo” e quello di riportare “al centro le persone e i lettori, non gli autori e i libri, attraverso parole, esperienze, idee gratuite”, messi in atto dalla cinque giorni del Salone Internazionale del Libro di Torino, una soluzione (e una riflessione) alla crisi generalizzata viene avanzata dalla Lucchesi.
“Forse è il caso che i nostri editori, soprattutto gli indipendenti ma non solo, i nostri agenti letterari […] cominciassero a prendere in seria considerazione l’idea di cercare il talento anziché aspettare che sia quest’ultimo a trovare loro. Potrebbe essere un buon punto di partenza. E vista l’attuale situazione varrebbe la pena provare”.