La Svezia razzista che non conoscevamo
Segregazione e malcontento sociale: la rabbia delle periferie di Stoccolma esplode in notti di fuoco e sassaiole
di Sara Gullace
C’era una volta il “modello Svezia”. Quello del benessere, quel paradiso di civismo portato ad esempio da tutta Europa – Italia in primis. Dopo una settimana di sassaiole e incendi dilagati nelle periferie della capitale, l’agognato Paese nordico dovrà rivedere il proprio ruolo di exemplum e fare i conti con una realtà dura e amara: quella di un’integrazione mancata e di un razzismo strutturale.
E’ proprio il caso di dire che non è tutto oro quel che luccica: nei primi anni del 2000 la Svezia aveva agevolato l’immigrazione aprendo l’accesso ad un Welfare rinomatamente generoso. All’epoca era, appunto, il modello da seguire: aperta, produttiva, autosufficiente ed accogliente. Adesso, però, sembra che la popolazione non svedese non sia riuscita inserirsi nel tessuto della società ma sia rimasta solamente tollerata – piuttosto che accettata ed amalgamata. La forma sulla sostanza, in poche parole.
Lunedì 14 maggio un anziano di 69 anni con accertati problemi psichici e di alcolismo – del quale ancora non si conoscono le origini – era stato ucciso dal fuoco della polizia. Indefinite le cause e le modalità della tragedia. Alcuni testimoni parlano di colpi mirati alla testa dell’uomo durante una rissa con dei giovani, in strada. “Leggitima difesa”, la versione degli agenti – benché parecchi attivisti e abitanti della zona parlano di abuso di potere, domandandosi se la reazione sarebbe stata la stessa in centro città.
Alcuni giorni dopo la morte dell’anziano, il quartiere era sceso in strada in segno di protesta. A quel punto, secondo gli attivisti locali, la polizia si sarebbe rivolta contro i manifestanti con toni razzisti chiamandoli “barboni, scimmie e negri”: l’’episodio è la goccia che fa traboccare il vaso. I quartieri Kista, Rinkeby, Jakobsberg o Norsborg sono diventati lo scenario di vandalismo notturno per tutta la settimana passata. Auto incendiate, ostruzionismo al soccorso dei vigili del fuoco, vetrine e cassonetti distrutti, ristoranti, alcune scuole ed un commissariato attaccati a fronte di 15 persone fermate (tutte in erà compresa tra i 18 e i 21 anni): questo l’attuale resoconto delle notti di rivolta svedesi – che contano molti under 14 tra gli assaltatori.
Stoccolma come la Parigi del 2005? Tutto lascia presagire ad una riposta affermativa. Le periferie teatro degli scontri hanno in comune la prevalenza di abitanti stranieri: Husby, dove è scoppiata la rivolta, conta 12000 abitanti di cui 85% è composto da extracomunitari. Si tratta di immigrati anche di 4° generazione, principalmente di fede musulmana e provenienti da corno d’Africa, Magreheb e Medio Oriente. Una concentrazione che sa molto di ghetto: lontani dalla città attiva, solo il 51% degli immigrati è attualmente occupato a fronte di un 84% degli svedesi – secondo dati dell’ Economist. E le differenze permangono anche tra quanti lavorano, con una media di 10 mila euro di rendita in meno pro capite. Nel corso degli anni, l’esclusione e la marginalità non hanno fatto altro che aumentare il malcontento nascente per le difficoltà dell’eco della crisi mondiale.
Le Istituzioni svedesi sono adesso costrette a fare i conti con una realtà nuova, anche se negli ultimi anni avrebbero dovuto cogliere cenni di disagio e allarme nel rapporto tra immigrati e locali. Un numero crescente di disoccupati e di abbandono della scuola tra i primi e l’ascesa in parlamento nel 2010, per la prima volta nella sua storia, di un partito di estrema destra dichiaratamente anti immigrazione: i Democratici Svedesi lasciavano presagire uno scenario socialmente diverso in nord Europa.
E proprio i Ds hanno approfittato della situazione per chiedere lo stato di emergenza nelle zone colpite, ribadendo il loro punto di vista reazionario: “E’ ora di finirla con il multiculturalismo e l’immigrazione massiva. Aspettiamo una legge in tal senso. In questo momento – ha spiegato il portavoce Johmsof – dobbiamo dimostrare a questi abitanti chi è comanda in città“.
Chi invece si è fatto sostenitore dei diritti delle classi emarginate è Megafonon, associazione giovanile che ha molta presa in quartieri come Husby. Ben lontana dal giustificare i vandalismi di queste settimane, ha però portato a galla un problema evidente: “Bisogna comprendere quello che sta succedendo da un punto di vista più ampio. Queste reazioni avvengono quando non c’è uguaglianza tra le persone, ed è quello che sta accadendo in Svezia. Tra gli immigrati c’è maggiore disoccupazione. E le scuole delle zone periferiche – spiegano – hanno le peggiori strutture e classe insegnante nonché le minori disponibilità economiche della città“. Fattori che minano l’egualitarismo sociale alle radici, creando un malcontento che è una bomba ad orologeria. Megafonon aveva anche richiesto un’indagine formale sull’uccisione dell’uomo a Husby ma la risposta della polizia era stata una conferenza stampa che garantiva un’indagine solamente interna.
La reazione del governo, non è stata molto incoraggiante. Ha negato l’esistenza di un problema sociale e ha congedato la questione in termini di disturbi locali, dovuti all’alto tasso di analfabetismo e delinquenza della zona. Banali, e irritanti, le parole del Primo Ministro conservatore svedese, Fredrik Reinfeldt: “Invitiamo tutti ad aiutare a riportare la calma. Gli abitanti di Husby devono riprendere il controllo del loro quartiere. Ci sono gruppi di giovani che pensano di dover cambiare la società con la violenza. Dobbiamo essere chiari: questo non va bene. Non possiamo essere dominati dalla violenza“.
E sebbene il Ministro dell’Integrazione Ullhenag sostenga di battersi da anni per abbattere le differenze sociali, atteggiamenti e risposte come queste creano maggiore sfiducia ed esasperazione negli animi della popolazione svedese.