La piccola Guantanamo inglese
Situata nel profondo deserto Afghano, la base militare inglese di Camp Bastion detiene illegalmente quasi 90 persone
di Martina Martelloni
La provincia di Helmand, situata nel sud dell’Afghanistan, nasconde un’area deserta e isolata dalle abitazioni civili. Posizionata nei pressi della capitale provinciale Lashkar Gah, si trova la più imponente base militare con bandiera britannica – che più di una volta ha subito attacchi esterni durante gli anni della guerra firmata stelle e strisce.
A sette anni dalla sua venuta in essere, Camp Bastion è sotto accusa. Un’inchiesta del primo canale inglese BBC ha denunciato la presenza illecita di detenuti afghani proprio all’interno dell’impianto anglofono. Illegale, in quanto i reclusi in questione non avrebbero mai subito un degno e regolare processo – neppure un furtivo ascolto da parte di un avvocato. Silenzio, totale silenzio dentro quella fortificazione immersa nella sabbia afghana.
85 persone in mano ai soldati inglesi. Di queste, in otto hanno rotto la bolla del mutismo facendo ricorso alla Corte Suprema del Regno Unito per pulire e mostrare la loro condizione di vita dal tabù che per tanto tempo ne ha impedito la conoscenza della verità. Chiedono libertà e chiedono di essere rispettati almeno ora, dopo aver subito trattamenti che gli stessi paragonano alle umilianti e disumane condizioni ed atti di violenza accaduti nella gelida Guantanamo statunitense.
Philip Hammond, è l’attuale ministro della Difesa a Londra. Le sue parole e le sue dichiarazioni sui fatti emersi lasciano sgomento e incoerenza tra verità e informazione fino ad ora divulgata dai mezzi televisivi, stampa ed istituzioni. Hammond ha ammesso la detenzione di 80-90 cittadini afghani a Camp Bastion. Parla di legale custodia da parte delle truppe britanniche. Legale? Sembra termine alquanto esule con quanto dettato dalle linee guida che sin dall’inizio della missione dovrebbero regolamentare ed indirizzare l’attività inglese in Afghanistan, basandosi su quel progetto ISAF avviato con tanto di timbro reale dell ONU. Un massimo di 96 ore, dunque quattro giorni, è il tempo consentito ai soldati britannici nel tenere sotto osservazione, detenzione, custodia o quello che sia dei sospettati che richiedono maggior attenzione e cautela o semplicemente considerati fornitori di strategiche informazioni.
La BBC parla di indagini terminate mesi e mesi fa a carico di quei civili “custoditi” a Camp Bastion. Quattro giorni superati, doppiati, quadruplicati senza motivo certo, se non quello denunciato da Hammond relativo alla poca sicurezza e indecenti condizioni umane delle carceri afghane.
Posizione che mira a difendere la detenzione inglese rispetto a quella che garantirebbe l’Afghanistan ai suoi civili. Il problema di fondo, però, non è tanto chi possiede le chiavi delle celle punitive. Il punto è che i presupposti della Convenzione di Ginevra del 1949 sui diritti dei prigionieri di guerra sono stati palesemente ignorati. Trattamento umano, totale assenza di torture fisiche e/o psicologiche. Vietata qualsiasi tipo di forma di coercizione. Questo è il nettare del documento internazionale.
Eppure si introducono fatti che negano la parola scritta. Quotidiani inglesi riportano ad oggi articoli allarmanti, nei quali si racconta la realtà testimoniata da due ufficiali britannici reo confessi di maltrattamenti ai danni di prigionieri afghani. Le loro voci sono ascoltate dalla corte marziale di Sennelager, Germania.
La risposta della madrepatria alle ultime rivelazioni della BBC ostenta un’accusa pesante nei confronti dei custoditi. Un portavoce del ministero della Difesa parla di reali accuse che pesano sulle spalle di alcuni di loro – ovvero il presunto coinvolgimento nella preparazione di bombe rudimentali. Una sorta di terroristi, dunque. Eppure, ad oggi, nessuna certezza e nessun giudizio lecito è stato emendato.
Le prime giustificazioni sull’insicurezza delle strutture di detenzione afghane, stanno volando via in questi ultimi giorni, ultime ore nelle quali sempre il ministro Philip Hammond afferma l’avvio di un prossimo trasferimento di quei 85 civili alle autorità locali. A quanto pare l’iniziale opinione è mutata, dopo accertamenti e ricerche varie che rilasciano il via libera al sistema giuridico dell’Afghanistan.
Ci si chiede, ora, se anche nel silenzio di quegli otto detenuti tutto questo sarebbe mai accaduto.