Un “new deal” europeo contro la disoccupazione giovanile
Tra politiche inefficaci e crisi economiche una generazione si sente “perduta”, sarà l’intervento dell’Unione Europea la risposta all’emergenza lavorativa degli “under 25”?
di Guglielmo Sano
La disoccupazione, quella giovanile in particolare, sembra essere un problema italiano per antonomasia. Scorrendo le statistiche, però, possiamo notare che il nostro Paese si trova in buona compagnia al riguardo: rispetto al “Bel Paese”, che ha un tasso di “under 25” disoccupati che si aggira intorno al 38%, vanno molto peggio Grecia (quasi 60%) e Spagna (più del 56%).
Situazione preoccupante, con tassi che si aggirano intorno al 30%, anche per Slovacchia, Lituania, Belgio, Lettonia e Irlanda. A parte Germania, Austria, Paesi Bassi e Malta, tutti i Paesi europei hanno tassi che superano il 15%, nella maggior parte dei casi superano il 20. In quasi tutta Europa i dati della disoccupazione giovanile sono due volte quelli riguardanti tutta la popolazione.
L’emergenza è ormai diffusa, aggravata dalle restrizioni alla spesa indicate da Bruxelles: se il problema è essenzialmente riconducibile alle politiche dei singoli stati, la soluzione può venire solo da un coordinamento tra investimenti europei e nuove misure legislative. Il Consiglio Europeo, all’inizio del 2013, aveva già approvato lo stanziamento di 6 miliardi di euro per contrastare la disoccupazione giovanile.
Lo stesso presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, aveva già allora evidenziato come si trattasse di una somma esigua per contrastare un problema così largamente diffuso. Da qui la nuova proposta del ministro del lavoro tedesco Ursula Von Leyen e del suo omologo francese Michel Sapin: aumentare di dieci volte la somma a disposizione dei provvedimenti per l’occupazione, presentando i 6 miliardi, presenti nel bilancio Ue 2013-14, come garanzia alla Banca per gli Investimenti Europei (Bei) che a sua volta erogherà un prestito di 60 miliardi, dividendolo a tutte le imprese che parteciperanno al progetto.
Il piano ancora non è stato approvato ma la disoccupazione giovanile tornerà a occupare i primi punti dell’agenda europea tra il 27 e il 28 Giugno, almeno così si legge in una lettera del Primo Ministro Enrico Letta indirizzata al Presidente del Consiglio Europeo Van Rompuy. Letta ha colto l’occasione per evidenziare come sia necessario “mobilitare tutte le fonti di finanziamento possibili a livello europeo e accelerare le fasi preparatorie della nuova iniziativa per l’occupazione giovanile, in modo da poter procedere con l’erogazione dei primi investimenti già all’inizio del 2014”. Non mancando infine di far presente come la politica di investimento dei singoli stati, per promuovere l’occupazione, abbia bisogno di maggiore flessibilità rispetto ai limiti imposti dall’Ue.
Non sappiamo ancora se pioveranno “a cascata” finanziamenti da Eurolandia o meno, ma se ciò accadesse, come verranno riassestate e quindi rilanciate le politiche per l’occupazione giovanile?
Paesi come Germania, Austria e Paesi Bassi hanno un modello che funziona e che potrebbe essere ripreso ed esteso all’Europa intera: il cosiddetto “sistema duale”.
Già dal 1949, l’avviamento al mondo del lavoro attraverso l’apprendistato è uno dei maggiori vanti della nazione tedesca: perno del sistema è la compresenza di formazione teorica garantita da Istituti professionali (simili a “lunghe” scuole medie italiane) e formazione pratica che si svolge all’interno di aziende riconosciute dallo Stato.
Dopo un apprendistato la metà dei giovani, che hanno partecipato, rimane a lavorare nell’azienda in cui ha imparato il “mestiere”, buona parte continua a lavorare nell’ambito in cui si è formato, comunque dopo lo “stage” ci si può iscrivere all’università, pur non avendo conseguito un diploma di maturità, grazie all’apprendistato svolto. Ancora più efficace sembra il modello olandese, molto meno conosciuto e applicato di quello tedesco.
Bisogna notare che i Paesi Bassi hanno uno dei tassi di NEET (not in employement, education or training) più bassi del mondo: significa che, nel paese dei mulini a vento, solo il 6% dei giovani tra i 15 e i 29 anni è inoccupato, cioè non lavora ma non è nemmeno all’interno del mondo universitario o comunque della formazione, consideriamo che in Italia, invece, il dato si attesta intorno al 24%.
Il “modello Polder”, nome ispirato dai tratti di terra “rubati” al mare tipicamente olandesi, non si allontana molto da quello tedesco, anch’esso prevede l’alternanza di scuola e lavoro, la differenza è che il sistema dei tirocini è gestito a livello comunale, quindi sta agli amministratori locali orientare la formazione in funzione delle professioni più vantaggiose e richieste, a seconda del territorio in questione.
Per ulteriori apprfondimenti:
http://www.euronote.it/2012/06/disoccupazione-giovanile/
http://issuu.com/yomag/docs/youth_guarantee