Furia turca contro Erdogan
Due settimane di proteste e manifestazioni: da Istanbul ad Ankara, turchi in piazza per i propri diritti
di Martina Martelloni
Al principio fu solo un sit-in nel Gezi Park – cuore verde della città porta d’Oriente, Istanbul. Non trascorse molto tempo, e da quel raduno pacifico di protesta contro la decisione del governo mirata alla demolizione del parco per un fine utilitaristico e commerciale ne derivò un moto di ribalta popolare che in questi istanti persegue nel farsi vivo e strisciante nelle città turche.
Dal 28 giugno, il diritto di manifestare è oltraggiato da forze di polizia che con cannoni ad acqua e gas, tentano di sgomberare le piazze e le strade di chi ha esteso la sua rabbia ed indignazione contro la globale classe politica con capostipite Recep Tayyip Erdogan.
Questo premier noto e ben accetto nel mondo sia Occidentale che Orientale, siede al comando della Repubblica Turca dal 2003. Venne eletto primo ministro con la gloria del suo ramo politico di provenienza – l’ AKP, il partito della Giustizia e dello Sviluppo. In anni di politica nazionale ed estera ha intrapreso diplomatici e collaborativi rapporti sia con l’Ue che con gli Stati Uniti d’America. La Turchia è apprezzata, stimata, ammirata per il suo essere democrazia (seppur con forti elementi di immaturità) in una area geopolitica conflittuale e contrastata, musulmana per il 97,5% della popolazione elemento di comunione con il Medio Oriente nonostante le diversità storiche, madri di modernità, pluralismo e secolarismo.
La Turchia sunnita è volta con lo sguardo all’entroterra siriano. Il suo è un coinvolgimento reale, concreto, tattile, per via dell’ oramai consolidato appoggio ai miliziani ostili ad Assad, l’alawita sostenuto da Iran ed Hezbollah. Ribelli che incassano finanziamenti delle grandi monarchie petrolifere del Golfo. Qatar ed Arabia Saudita in primis.
Tutto questo non basta più, non è chiara e limpida così come appare la quotidianità interna del popolo turco che ha eletto il suo leader Erdogan con il 50% delle preferenze. Si esige rispetto, ascolto e rappresentanza dell’altra grande metà che fatica a trovare spazio nelle Istituzioni politiche.
Inaccettabile è la reazione delle forze di sicurezza contro quei dimostranti che esplicano solo il loro diritto-dovere esplodendo in una rivolta generale in tutto il Paese. Fine ultimo è far capire con mezzi diretti ad Erdogan, quanto e come devono e vogliono essere partecipi della loro prospettiva civile, attuale e futura. Dietro il sipario si cela il vero spettacolo causa delle rivolte.
La tendenza emersa del governo Erdogan fa tremare gran parte dei turchi amanti della loro terra laica, esempio per tutto il mondo islamico. Dalle restrizioni sulla vendita degli alcolici alla meritocrazia fantasma, è marcata anche l’intromissione nell’informazione editoriale, minacciata nella sua vena più profonda della libertà di parola e di stampa.
Gli anni del regime militare hanno segnato la Turchia e la sua Storia, ma ora si rischia di perdere il sentiero della democrazia in un paese divenuto ingovernabile con radici instabili anche per una totale assenza di opposizione politica in grado di dar voce ad opinioni alternative e disagi sociali. Dall’alto del suo podio, Erdogan non sembra essere intenzionato a placare le acque e a fermare le ruspe. Di ieri l’incontro con una delegazione di manifestanti – seguita, poche ore dopo, dall’assalto della polizia all’interno del Gezi Park.
“Toglieremo gli alberi”, con tre parole si è esaurito l’intervento del primo ministro turco che ancora una volta ha fatto segno di avere tappi nelle orecchie e bende sugli occhi.
Una risposta
[…] sia la polizia nelle strade, il crescente malcontento popolare. E’ difficile dire se i fatti di Gezi Park, la soppressione temporanea dei servizi on-line come Twitter e YouTube, gli scandali che hanno […]