Domani accadrà
Il processo alla senatrice Gambaro potrebbe provocare la scissione nel M5S. Così, torna Bersani e pensa a un nuovo governo di centrosinistra. E Berlusconi trema…
di Adalgisa Marrocco
Effetto domino al rallentatore. Che potrebbe partire domani, e finire chissà quando. Perché, mentre le prime pagine dei giornali si concentrano sul “Decreto fare” del governo Letta, che prova a iniettare ossigeno negli affaticati polmoni di famiglie e imprese, tanti segnali fanno pensare che a decidere gli scenari politici dei mesi a venire sarà ciò che avverrà domani. Non a Palazzo Grazioli. Non al “botteghino” democratico a Sant’Andrea delle Fratte. Ma in Senato.
Lì infatti, domani, si riunirà l’assemblea congiunta dei senatori del Movimento 5 Stelle, che dovrà decidere se avviare la procedura di espulsione di Adele Gambaro, “colpevole” di aver accusato Beppe Grillo dei non lusinghieri risultati alle ultime elezioni amministrative.
L’impressione, infatti, è che stavolta in molti, nel M5S, siano in imbarazzo, e che sarà difficile nascondere il personalismo in salsa “neoleninista” di un eventuale allontanamento della senatrice. In quanti potranno accettarlo, fra eletti, militanti e simpatizzanti? Quel che è certo è che l’imbarazzo non è passato inosservato né, appunto, a Palazzo Grazioli, né a Sant’Andrea delle Fratte.
Pierluigi Bersani, ad esempio. Evaporato da settimane dalla cronache politiche, l’ex segretario PD è riapparso all’improvviso sulle colonne del Corriere della Sera, e ha lasciato a intendere, non troppo velatamente, che è oggi più concreta la possibilità di un governo diverso da quello delle larghe intese, che rimetta insieme il centrosinistra così come si era presentato alle elezioni (ma quanti del “centro” ci starebbero?) e inglobi eventuali scontenti del M5S. Magari, proprio quelli che non digerirebbero l’ennesima epurazione. Lo ha lasciato a intendere, salvo poi tornare sulla questione e chiarire: “noi non staccheremo mai la spina”. Ma, si sa, smentite e correzioni di tiro hanno il peso che hanno.
E, Bersani a parte, l’altra “gamba” democratica, quella che fa capo a Matteo Renzi, è fin troppo dinamica e da sempre non particolarmente convinta del governo Letta. Anche perché il sindaco di Firenze non ha intenzione di farsi trovare impreparato da eventuali terremoti, che, a differenza di quelli sismici, sono fin troppo prevedibili.
Sulla sortita di Bersani, inoltre, non può non aver influito proprio il risultato delle amministrative. Lo stesso che ha confermato al PDL e a Silvio Berlusconi che il centrodestra continua a essere ed esistere in funzione del proprio leader. Il quale sperava forse che la delusione dell’elettorato del centrosinistra lo riproiettasse immediatamente in testa ai gradimenti.
Accanto alla certezza che non è così, i segnali di smottamento fra centrosinistra e M5S e il “Decreto fare”, che mette la crescita e non la pressione fiscale al centro delle politiche di governo, hanno convinto il Cavaliere a compiere una clamorosa inversione a U: se fino alla settimana scorsa la strategia di Berlusconi era quella di dissociarsi da eventuali (ma pur sempre probabili) provvedimenti lacrime e sangue di Letta, e magari di far cadere il governo e riproporsi come il paladino della lotta alla pressione fiscale, ora l’ex premier affida a Studio Aperto la professione di fede verso la grande coalizione. “L’intesa fra centrodestra e centrosinistra spero possa durare”.
Anche perché, d’improvviso si materializza lo spettro che a staccare la spina al governo Letta possa non essere il PDL, ma l’ala sinistra del PD. Con la minaccia, per il Cav, che dopo anni possa rinascere in Italia un governo progressista, col benestare e l’appoggio di parte del M5S. Per questo sarà fondamentale vedere cosa succederà domani.
(fonte immagine: libroquorum.blogspot.com)