Tempi bui
Le rilevazioni dell’Osservatori Confesercenti indicano il declino delle piccole attività commerciali in Italia
di Andrea Ranelletti
Il morso della crisi continua a farsi sentire sulle piccole attività commerciali in Italia, la cui lotta per mantenere la propria vitalità si fa sempre più strenua. Il crollo del commercio colpisce con particolare durezza nel Sud Italia, ma anche il Centro e il Nord del Paese continuano a testimoniare un aumento delle difficoltà di sopravvivenza. La prospettiva è Il rischio più temuto è quello di una desertificazione commerciale, destinata ad avere un impatto visibile non solo sull’economia ma anche sul panorama urbano.
La scorsa settimana l’Osservatorio per il Commercio di Confesercenti ha pubblicato il resoconto della propria analisi sui dati delle attività commerciali, in cui ha focalizzato l’attenzione sui trend di apertura e chiusura delle imprese attive nella ristorazione, nel settore alimentare e in quello dell’abbigliamento. I dati – centrati su 2012, 2013 e con prospezioni per il 2014 – presentano una realtà complessa, in cui ogni “categoria merceologica” rivela la propria sofferenza di fronte all’inasprimento della crisi del commercio.
“Se il trend di chiusure evidenziato nei primi quattro mesi del 2013 dovesse continuare invariato, al primo gennaio 2014 avremo perso in tutta Italia, rispetto al totale registrato a dicembre 2012, esercizi in tutti i principali settori”. Spiega il Comunicato dell’Osservatorio. Nel settore dell’abbigliamento sarà pagato il conto più caro: circa l’8% di aziende in meno riaprirà i battenti rispetto a quelle registrate a fine 2012; la quota nel settore della ristorazione e dell’alimentare sarà pari al 5%.
Un’analisi settoriale approfondisce ulteriormente il livello del malessere economico nel Paese: nel settore alimentare, nell’anno corrente, si registreranno 3.990 nuove aperture di attività e 8.690 chiusure. Maglia nera alla Sicilia, che riscontra un calo delle attività pari al 5%. Ben più drammatica la situazione nel settore tessile, dove per 4.500 nuove aziende si registrerà una chiusura di oltre 15.000: una cifra drammatica, che comporterà un calo dell’8% nell’intero Paese. Il calo più duro è in Basilicata, con un -10%, ma anche Piemonte, Toscana, Puglia e Liguria mostrano forti sofferenze (-9%). A Roma, da inizio anno a fine aprile, 790 piccole attività hanno chiuso i battenti: il 76% dell’intero Lazio e il 6% del numero nazionale.
In un simile quadro, la prospettiva di un aumento dell’Iva costituisce un ulteriore elemento di preoccupazione, di fronte al rischio di un ulteriore depressione del commercio. Mina Giannandrea, vicepresidente di Confesercenti Roma, è chiara al riguardo: “Dobbiamo liberare il settore del commercio dalla crisi. C’è bisogno di misure incisive per ridurre la pressione fiscale a partire dallo stop all’aumento dell’Iva, ed anzi ad un suo ritorno al 20 per cento, e provvedimenti in grado di arrestare l’emorragia di chiusure di imprese”.
L’impossibilità per le piccole attività di mantenersi in piedi rivelano la scomparsa del clima necessario al piccolo investimento in un Paese un tempo fertile sotto questo punto di vista. Oggi a cedere non sono solo le grandi industrie, ma anche e soprattutto le imprese di dimensioni ridotte e a conduzione familiare, il cui rigoglio un tempo fu segno di vitalità economica nel Paese.
(fonte immagine: http://www.thinknews.it/)