Arriva Stoker, il “film americano” di Park Chan-Wook
Debutto hollywoodiano per il regista di Old Boy, Park Chan-Wook, con Mia Wasikowska e Nicole Kidman
di Giulia Marras
Primo film americano diretto dal regista coreano Chan-Wook, reduce dai grandi successi di Old Boy, Lady Vendetta e Thirst, scritto dall’insospettabile Wentworth Miller, attore della serie tv Prison Break e prodotto da Ridley e Tony Scott, Stoker è un thriller intriso di cinema, hitchcockiano soprattutto, simbolismi e pulsioni sessuali mai consumate, se non attraverso la morte. Prima di tutte, quella dell’innocenza.
Il rito di passaggio dall’infanzia all’età adulta, dell’accettazione del sé e della controversa natura dell’uomo in bilico tra il bene e il male sono qui raccontati proprio attraverso il lutto di due donne, Evelyn e India, madre e figlia in aperta conflittualità tra di loro, vittime della perdita del loro uomo, Richard Stoker, marito e padre. Ne ritroveranno in qualche modo la presenza fantasmatica nel fratello, lo zio Charlie, una sorta di Norman Bates dei nostri tempi, il quale compare misteriosamente durante il funerale, dopo anni di silenzio e assenza. Entrambe vengono affascinate dalla versione più giovane e aitante di Richard.
Richard era il padre amorevole su cui si ancorava l’innocenza fanciullesca di India, figura vampiresca (una delle tante ispirazioni del film è dichiaratamente Dracula di Bram Stoker) le cui pulsioni di sesso e violenza vengono tenute a bada dalle battute di caccia e congelate negli uccelli impagliati, altro elemento che si aggiunge alle citazioni Hitchcockiane, oltre a una trama che riprende da vicino quella de L’ombra del dubbio, film del maestro del brivido del 1943, di cui Stoker è quasi un remake, sulla relazione pericolosa tra l’ uncle Charlie e l’adorata nipote.
La madre, Nicole Kidman, tipica donna dalle sfumature noir, tenuta fuori dal rapporto esclusivo padre-figlia, si trova di contro ad affrontare un percorso opposto: costretta in un ruolo da casalinga sola ed annoiata nonostante l’alta educazione, torna ad essere figlia adolescente, ammaliata dall’unica presenza maschile della casa, cieca e invisibile pedina della relazione quasi incestuosa tra Charlie e India. La ragazza in realtà, interpretata da un’inquietante Mia Wasikowska, l’Alice di Tim Burton, sempre più dark nella scelta dei suoi ruoli – la vedremo ben presto anche nell’ultimo film di Jim Jarmush Only Lovers left Alive, altra storia cupa e vampiresca – è subito turbata da quello zio Charlie, di cui ignorava l’esistenza, ma che sembra conoscere da sempre (we don’t need to be friends, we’re a family), e dai lui stesso spinta e tentata nella scoperta del segreto che si porta dietro.
Segreto che non solo verrà accettato, ma accolto e condiviso. Scene chiavi in questo senso quella della suonata al piano a quattro mani, allegoria del rapporto sessuale (mentre con Evelyn, Charlie si rifuta perfino di ammettere di saperlo suonare), o quella del gelato variegato che India, ormai consapevole e complice, consumerà nella cantina, luogo per antonomasia custode di segreti e unica concessione ai cliché dell’horror, a parte l’escalation di morti che non sorprende e, anzi, ci si aspetta. La storia si articola così tra l’inseguimento del dubbio e dei sospetti di India verso lo zio e l’avvicinamento tra i loro due spiriti così pericolosamente affini.
Ma senza dilungarci sui dettagli della trama, forse neanche fondamentali per poter apprezzare la pellicola, si può dire che Chan-Wook riassume nei simboli, come quello del ragno, o le scarpe troppo strette, il tema della maturazione sessuale della protagonista, e tramite immagini mai scelte a caso la doppia natura umana, le rivalità familiari e la violenza più cinica e fredda, con il volo d’angelo, o il programma televisivo sulle aquile, solo per citare qualche esempio. Anche la sceneggiatura, per quanto scarna e quasi vintage, trasmette l’ambiguità del tema del doppio senza troppi sforzi, toccando la più alta con uno splendido monologo della Kidman sulla necessità primordiale ed egoistica dell’uomo di avere figli:
“Mi sono sempre chiesta perché abbiamo dei bambini, e la conclusione alla quale sono arrivata è: ad un certo punto delle nostre vite, ci rendiamo conto che le cose sono fottute, senza rimedio, quindi decidiamo di iniziare da capo. Di ripulire la lavagna. Iniziare da capo. E abbiamo dei figli. Delle piccole copie a cui possiamo dire: tu farai quello che io non ho potuto. Riuscirai dove io ho fallito. Perché vogliamo che qualcuno ci riesca, questa volta. Ma non io. Personalmente non vedo l’ora di vedere la vita farti a pezzi.”
I figli, questi sconosciuti. Fedeli fino alla morte, o ribelli fino all’omicidio.
Abbiamo detto che è un film pregno di cinema: lo è, nel gioco degli sguardi, nell’utilizzo consapevole dei cliché di genere, nelle citazioni dirette – divertente il riferimento a The Others e al personaggio interpretato dalla Kidman, horror che a questo Stoker tende ad assomigliare in certe sfumature psicologiche. Proprio per questo forse non spicca di originalità, anzi, ma la regia regala piccoli momenti di estasi disturbante, tipica di Chan-Wook. Aggiunge valore la colonna sonora firmata da Clint Mansell, compositore feticcio di Darren Aronofsky e autore della popolarissima Lux Æterna ; per i più cinefili è da segnalare infine un cameo del regista indie per eccellenza, Harmony Korine.
Stoker esce finalmente nelle sale italiane il 20 giugno, dopo vari rinvii e dopo un anno dall’uscita in America.