Spagna: incubo prigioni per gli stranieri
Nel Paese esistono otto Centri d’Internamento per Stranieri, prigioni invisibili dove le denuncie per vessazioni e maltrattamenti polizieschi crescono ogni anno
di Maria Bonillo Vidal
In tutto il territorio spagnolo esistono otto Centri d’Internamento per Stranieri (CIE). Non sono prigioni, almeno non formalmente. Ma la realtà sembrerebbe dimostrare il contrario. Diverse denunce per maltrattamenti da parte della polizia hanno messo questi centri sotto il sospetto di giuristi, ONG e altre entità sociali che cercano di controllare quello che accade tra le mura di questi palazzi, esistenti in molti altri paesi dell’Unione Europea.
I centri hanno la funzione di tenere sotto custodia individui che lavorano o abitano in Spagna senza il permesso di soggiorno e che la Polizia ha arrestato per deportarlo. Pertanto si tratta solo di case di “accoglienza” in attesa che gli “ospiti” tornino al loro paese d’origine – non dovrebbe trattarsi di carceri detentivi. Il problema è che quei sessanta giorni in cui gli immigranti devono stare lí dentro, spesse volte si trasformano in un vero e proprio incubo.
Un report realizzato dalla Campagna per la chiusura dei CIE, formata da piú di 30 organismi sociali, ha denunciato situazioni indubbiamente prossime alla violazione di diritti umani nel centro di Zapadores, a Valencia. “Gli uomini non li lasciano andare in bagno, durante la notte: devono fare la pipí in bottiglie, dentro le celle con tutti gli altri prigionieri davanti. Invece alle donne dicono che in bagno possono andarci, se poi puliranno la loro cella” – ha spiegato Ana Fornés, portavoce di questa piattaforma.
Il rapporto ha raccolto anche 26 denunce per maltrattamento – sia físico che psicologico. “La pretura di Valencia ha consegnato querele per bastonate, insulti e vessazioni. Si producono anche punizioni collettive, come uscire al cortile d’inverno a metà notte”, indica Fornés. I detenuti si lamentano anche per la mancanza d’interpreti e traduttori, tante volte non capiscono quello che vuole la polizia.
La situazione diventa ancora piú drammatica avviene quando le deportazioni si verificano di notte. “La pretura ha detto che si deve avvisare con un bel po’ di tempo di anticipo, ma la realtà è che gli internati vengono deportati nel buio, senza lasciargli salutare la famiglia o prendere i propri effetti personali”, spiega Fornés. Nella maggior parte dei casi, al ritorno, l’immigrante arriva di notte ad un aeroporto del suo Paese senza portar nulla e a parecchi chilometri da casa sua. Questa situazione di precarietà “non li lascia dormire, hanno tanta ansietà”.
Altra irregolarità denunciata dalla piattaforma è l’assenza di bolletino medico, dopo aver ricevuto maltrattamenti fisici. Chi soffre di malattie croniche deve abbandonare le terapie perché non ha diritto all’assistenza pubblica e non può andare a casa a recuperare i medicinali. La maggior parte degli internati arriva al centro dopo retate effettuate per strada – e quindi non portano niente, con sé. “ A volte sono costretti a indossare la stessa roba per 60 giorni, senza potersi cambiare né pulire, senza un minimo rispetto per le esigenze intime” – ha denunciato Fornés.
Tutte queste denunce sono state rese pubbliche dal 2009, quando un giudice ha permesso per la prima volta alle ONG di entrare nei CIE. Nel 2012 due persone sono morte, in questi centri – una a Barcellona e l’altra a Madrid. A Valencia una donna africana ha denunciato anche violenze sessuali ad opera di un poliziotto, ma è stata rimpatriata ancor prima di aprire un giudizio. In tutta l’Unione Europea ci sono piú di 220 di queste prigioni invisibili.