La guerra dell’acqua
Egitto ed Etiopia si contendono il Grande Nilo. La costruzione di una diga rischia di compromettere le relazioni diplomatiche tra due Paesi situati in una regione dove l’acqua è vita e futuro
di Martina Martelloni
La “Grand Renaissance”, nome maestoso per il più immenso progetto idroelettrico in terra africana capace di generare un potenziale di energia elettrica tale da mettere l’Etiopia al riparo dall’esportazione verso Paesi quali Kenya, Gibuti, Egitto, Eritrea, Sudan. Addis Abeba ha lanciato la sua sfida al continente con la chiara e decisa volontà di divenire l’hub energetico dell’Africa Orientale. Chi risiede a valle del Nilo, l’Egitto, osserva il tutto con sospetto temendo che le sue sacre sponde vengano violate.
Il fiume Nilo attraversa ben quattro territori statali: Egitto, Sudan, Uganda ed Etiopia. Il suo bacino comprende 10 Paesi, considerando anche quelli che circoscrivono il lago Vittoria – dal quale si dirama il Nilo Bianco. La Storia insegna che furono gli Egiziani a fare di questo infinito corso d’acqua il simbolo di una civiltà divenuta poi impero e che, nel 1929, ha siglato un patto di sangue con queste acque avvalendosi del totale diritto storico e naturale sul grande fiume. Come l’Egitto, così anche nelle vene del Sudan del Nord scorre l’acqua del Nilo: nel 1959 i due Paesi siglarono un accordo per l’appropriazione delle risorse, all’epoca furono gli egiziani a godere dei benefici dell’intesa.
Talvolta però la natura ritorna a reclamare le sue prerogative, così che l’Etiopia ha iniziato oramai da anni la sua lenta e graduale corsa sul bacino del Nilo. L’85 % della portata del fiume-leggenda proviene infatti dal Nilo Azzurro, figlio del lago Tana – acque chiuse situate in terra Etiope. Ecco quindi quei diritti rivendicati sul flusso celeste che scorre e che tutti si affannano nella lunga corsa al possesso.
L’opera in costruzione è già completa per il 21%, lavoro svolto dall’azienda italiana Salini. Ancora una volta la storia pone mano nella mano Italia ed Etiopia. Per il governo egiziano guidato da Morsi, l’avvio della diga rappresenta un oltraggio alla culla dei faraoni. Non sono mancate minacce diplomatiche tra i due Paesi. Il Cairo ha paura e parla di ritorsioni contro Addis Abeba, che dal canto suo risponde accusando l’Egitto di un senso di appropriazione ingiustificato – padrone dell’acqua autoproclamatosi tale.
Se si analizza il quadroo idrogeopolitico, ci si accorge di quanto il Nilo sia vitale per quell’Egitto che vi ricava il 97% di risorse idriche destinandole a una popolazione di 80 milioni di abitanti: una riduzione delle acque per mezzo della Grand Renaissance comporterebbe estenuanti conseguenze.
Sul palco degli attori, gli altri Paesi non stanno a guardare. Il Sud Sudan, Stato nato nel 2011, sostiene con forza la decisione etiope firmando un accordo quadro che coinvolge anche Ruanda Tanzania, Uganda, Kenya e Burundi con il fine ultimo di sfruttare a pieno quella risorsa trasparente e ricca più dell’oro in un’area che attirerà e calamiterà sempre più investitori stranieri quali Cina ed Arabia Saudita già attivi sul territorio.
Chi osserva dalla platea immobile ed inerme sono le popolazioni locali, costrette all’esodo e migrazioni forzate per veder crescere sulle loro terre e sui loro villaggi stradicati opere infrastrutturali comandate da poteri alti, troppo alti da poter lottare.
L’acqua, più del petrolio, sta sempre più assumendo la veste scatenante di conflitti tra Stati. L’acqua è risorsa rinnovabile, ma non sostenibile.
Adesso il problema per gli egiziani è relativo alla fase di riempimento dei nuovi invasi, che abbasserà temporaneamente le portate. Potrebbe divenire più grosso casomai le nuove dighe avessero anche finalità irrigue; se si parla solo di turbine e d alternatori, allora la cosa si può gestire.
Sarei poi curioso di capire come pensano di fare in Etiopia a gestire l’interramento dei bacini, già risultato problematico ad Assuan….