Palermo e Torino: così lontane, così vicine
Identità “meticce” per aprire e aprirsi all’Europa
di Alessia Signorelli (@lasignorelli)
Nel sito ufficiale a supporto della sua candidatura a Capitale Europea della Cultura 2019, è riportato un dato che fa riflettere: 507 sono i DNA che costituiscono il ceppo cromosomico della città di Palermo. Ma questa corsa verso l’Europa, Palermo la fa partire dall’opportunità offerta dal riconoscimento del “negativo” come fonte di cambiamento e di miglioramento.
Nelle dichiarazioni di intenti a supporto della propria proposta, Palermo non si nasconde ma si rivela e si autodefinisce la “città delle antinomie”. In virtù della sua posizione geografica, Palermo è stata ed è una delle porte nelle quali convergono da secoli la realtà Europea, quella araba e quella africana. Melting pot per destino, Palermo si conosce bene ed ammette che la strada che ha davanti è molto lunga. Nella città siciliana convivono da sempre culture diverse tra loro e spesso agli antipodi, rintracciabili anche nell’architettura stessa del luogo, e non si tratta solo di “culture” nel senso letterale del termine ma anche di impostazioni mentali, le più famose: quella mafiosa e quella anti mafiosa.
Vittima di sé stessa, auto-martirizzatasi per decenni, Palermo cerca la propria forza in quello che definisce “meticciato”, sociale, ambientale, culturale e da questo vuole attingere elementi per ricostruire la propria identità presentandosi come la risposta ad un’Europa che sembra rinchiudersi in se stessa. Palermo rivendica il suo essere teatro di passaggi, di scontri e di contaminazioni. Ammette i propri errori e mette sul tavolo i propri punti di forza in misura uguale. Parla del bisogno di nuove “attitudini creole” ed afferma di poterle offrire, presentandole come una delle chiavi di lettura ideali per il futuro. Riconosce le proprie dicotomie laceranti, ma sottolinea con orgoglio le aperture più recenti -e, forse, impensabili nell’immaginario collettivo – come il Gay Pride di quest’anno.
Palermo si pone come la città che “non deve scegliere tra Europa e mondo arabo proprio perché può contenere entrambi”.
Palermo, divisa, scissa, ma desiderosa di offrire,di dare. Una città che si guarda allo specchio, che cerca in tutti i modi di farsi esami di coscienza senza perdere di vista il meraviglioso che contiene.
Come Palermo, anche Torino (e tutta la regione Piemonte) punta all’idea del proprio multiculturalismo “ereditario” come base di supporto alla sua, di corsa verso l’Europa; un’Europa della quale Torino fa un’analisi critica, facendo, al tempo stesso, autocritica, esaminando le problematiche di un “intero sistema di politiche culturali europee” che “andrebbe criticato” per la “lontananza dalle grandi questioni sulle quali soltanto possono fondarsi prospettive a lungo termine, per le Nazioni e per i Subcontinenti.” Anche Torino punta ad offrire una specie di “redenzione” a quest’Europa mangiata pezzo per pezzo dalla crisi, che si perde in se stessa, smarrendosi nelle proprie idiosincrasie.
Torino non le manda sicuramente a dire, la sua non è una candidatura (che, seppure sembri ancora stentare a prendere il volo) “soft”, quanto, piuttosto si potrebbe azzardare il termine “militante”. Torino, definita da qualcuno la “città più esoterica d’Italia” affronta la questione della propria candidatura con il primo ostacolo della coesione sociale, che, se mancante impedisce al “complesso percorso ideativo, politico, progettuale, formale ed organizzativo della candidatura” di compiersi in maniera efficace. Torino affronta i fantasmi di un’ Europa che rischia di autofagocitarsi, perché incastrata in un rapporto con la cultura eccessivamente impostato attorno ad una mentalità di tipo “ragionieristico”.
Si sforza, Torino, di creare una rete fitta di realtà sociali e culturali diverse in grado però di lavorare allo stesso obiettivo e di supportare la candidatura di una città che ha molto da offrire, in termini di conoscenze, innovazioni ed aperture sul mondo.
Due candidature battagliere, che si tolgono di dosso il velo ed affrontano questa sfida guardando dritto negli occhi i propri “demoni”.