Tennis: Wimbledon, il trionfo degli “antire” nello Slam che riscrive la storia
Lo straordinario successo di Andy Murray, 77 anni dopo l’ultimo alloro britannico, e l’impresa di Marion Bartoli, l’anti-diva della racchetta femminile, hanno chiuso la 127°, controversa e sorprendente edizione dei Championships. Ecco il nostro pagellone con i voti ai protagonisti sull’erba londinese
di Paolo Pappagallo
@paul_parrot
In principio furono “lo scozzese” e “la ribelle“. Lui, quello che quando perdeva rispolverava tra le malelingue londinesi i dissapori, spesso neanche troppo malcelati, tra i sudditi geograficamente più prossimi a Sua Maestà e gli irrequieti abitanti all’ombra della croce di Sant’Andrea più a nord. Lei, “le fille terrible”, quella capace di risultare invisa alla sua stessa federazione francese a causa di un padre-allenatore ingombrante, autocrate, disposto persino a sacrificare il pesoforma della figlia pur di evitarle possibili distrazioni amorose.
Da oggi, Andy Murray e Marion Bartoli condividono nel palmarès quello che è il riscatto di tutta una vita, dentro e fuori dai loro amatissimi campi da tennis.
Andrew da Glasgow si è consacrato ufficialmente come uno tra i figli prediletti di tutti i britannici riuniti sotto il vessillo dell’Union Jack, l’eroe capace di spezzare il maleficio da tregenda che da quasi ottant’anni, dall’ultimo successo dell’inglese doc Fred Perry nel 1936, aleggiava implacabile sulle verdi e prestigiose superfici dell’All England Lawn Tennis & Croquet Club. Oggi il nome di Perry è ricordato, anche dai profani della racchetta, per l’omonimo e celeberrimo marchio di abbigliamento creato da lui stesso negli anni ’30 al culmine della carriera: chissà se, entro qualche anno, anche Andy deciderà di consacrare il proprio nome anche tra i nuovi brand di successo della moda sportiva internazionale.
Per “Marionona” invece, sette anni dopo l’ultimo trionfo francese a Londra firmato Amèlie Mauresmo, sicuramente non è prevista alcuna svolta “fashion” all’orizzonte, ma il trionfo in terra britannica ha aperto le porte ad una consacrazione, dal vivido profumo di riconciliazione, con i propri connazionali transalpini, capeggiati dal presidente Hollande con il suo puntuale e riconoscente tweet di congratulazioni.
Dai vincitori del singolare maschile e femminile 2013 non possono che partire le nostre pagelle, dedicate alle numerose sorprese in positivo e soprattutto in negativo che hanno contraddistinto le due settimane di battaglie all’ultimo 15 sull’insidiosa erba di Church Road.
Andy Murray – One ticket to hell and back: un anno fa, la finale persa sul Centre Court contro mastro Federer sembrava il remake del solito copione per tutti i tennisti di casa, impeccabili sino a pochi metri dalla meta e poi spazzati via senza neanche un lumicino di speranza dal dominatore delle classifiche mondiali dal momento. Ma, a differenza della routine, il 2012 ha regalato a Andy la possibilità di una rivincita fresca, immediata, cicatrizzante, e non è per nulla difficile oggi immaginare che la rincorsa di Murray alla conquista di Wimbledon in formato tradizionale abbia iniziato a prendere forma con l’oro olimpico rompighiaccio conquistato in rivincita proprio contro Roger Federer. Non a caso, dopo il successo ai Giochi, lo scozzese ha infranto anche il tabù dei successi nelle prove Slam portandosi a casa lo US Open un paio di mesi dopo, arrivando fino ai giorni nostri a rimarcare ulteriormente il concetto di vendetta servita su un piatto più che freddo, gelato. Djokovic lo aveva sconfitto nella finale degli Australian Open a gennaio? Murray si è portato a casa lo scalpo di Nole su un terreno ancora più prestigioso e soprattutto in casa. Senza troppo soffrire, fatta eccezione il quarto con rimonta da brividi contro Verdasco, con un gioco vario e spumeggiante e una condizione atletica straripante, persino al cospetto di un centrometrista come il serbo n.1. Per i britannici, per coach Lendl due volte finalista e mai vincitore, per la storia. The King. Voto: 10
Marion Bartoli – Di lei hanno detto di tutto (il peggio possibile): che è grassa, che il suo è un tennis antiestetico, che gioca a fare la Monica Seles con i suoi colpi bimani, che in campo è troppo esaltata. Che non avrebbe mai vinto nulla. A 28 anni e al quarantasettesimo tentativo in una prova dello Slam, la Bartoli mette a tacere tutti, sia in patria che fuori. Poco importa che i soliti detrattori abbiano questa volta puntato il dito contro il percorso nel torneo a loro dire fortunato (nessuna giocatrice top 10 affrontata nel torneo, molte outsider affrontate e facilmente eliminate), neanche fosse da imputare a Marion il basso ranking delle avversarie incontrate in tabellone. Nessun set lasciato per strada, le due azzurre Giorgi e Knapp, ahinoi, eliminate strada facendo e finale contro la tedesca Lisicki esaurita senza neanche il beneficio del dubbio per il pubblico del Centrale. Dei discutibili metodi di allenamento paterni e relative frizioni con la federazione francese abbiamo già accennato, ma le simpatie con i successi rinascono facilmente. The Queen. Voto: 10
Novak Djokovic – Le regole spesso sono fatte per essere infrante: negli ultimi 3 confronti con Murray, il serbo aveva sempre perso il primo set, ribaltando però sempre a suo favore il prosieguo del match. Stavolta Nole, complice una giornata no e probabilmente la stanchezza dopo la maratona in semifinale contro Del Potro, non sembra mai davvero in partita neanche nel momento migliore in termini di punteggio, con quel 4-1 all’apparenza compromettente nell’esito del secondo set. I rimpianti per Djoker alla fine appaiono comunque relativi, perlomeno contro uno scozzese così in palla, anche se nel corso del torneo il n° 1 del mondo è quasi sempre sembrato un gradino sotto la sua forma migliore, un kilometro distante dal rendimento di quel glorioso, magico 2011 da incontrastato dominatore dell’ovunque. Da uno come lui ci si aspetta sempre la perfezione, a maggior ragione vista l’occasione ghiotta senza Federer e Nadal, ma il ranking se ne rimane bello tranquillo lassù sulla vetta della Race. Nole Senza Terra. Voto: 9
Sabine Lisicki – L’ammazzagrandi, l’erede di Steffi Graf (secondo gli appassionati teutonici), la sorpresa tra le sorprese delle quote rosa, si perde proprio sul più bello, tra crisi di pianto e nervi a fior di pelle nell’ultimo atto contro la Bartoli. L’età, 23 anni contro i 28 della campionessa francese, depone a favore di un futuro più che roseo per la tedesca dal sangue polacco, probabilmente davvero usurata sul piano nervoso dopo le incredibili vittorie contro l’invincibile Serena Williams nei quarti e la coriacea “quasi connazionale” Agnieszka Radwanska in semifinale. La Lisicki dalla sua parte si è ritrovata il meglio (il peggio per lei da affrontare) del ranking WTA, uscendo trionfatrice da match sulla carta fortemente compromessi (Serena avanti 4-1 nel terzo, Randwanska 4-2 e 1 set a 0) e peccando forse di inesperienza, oltre che di stanchezza, nella finale contro un giocatrice certo come lei all’asciutto di vittorie nello Slam, ma più fresca e, con la finale raggiunta nel 2007, quel filo più esperta nel gestire la pressione. Better luck next time. Voto: 9
Juan Martin Del Potro – Il mancino di Tandìl vince ex-aequo la palma di miglior attore non protagonista e il Tapiro d’Oro nel tabellone del singolare maschile. Il primo riconoscimento è in un certo senso indirettamente frutto del secondo, tributo alla sfortuna che lo colpisce fin dal terzo turno contro il serbo Zemlja, con un paio di scivolate rovinose sull’erba, mai insidiosa come quest’anno, che in pratica gli mettono fuori uso o quasi il ginocchio destro. Fasciatissimo, Del Potro si ripresenta contro il nostro Seppi, carbura, cade almeno un ulteriore paio di volte sempre sul ginocchio dolente ma porta a casa pure l’accesso ai quarti. Contro Ferrer il fisico sembra reggere meglio e la vittoria arriva apparentemente con tranquillità, nonostante il fisico sia ormai allo stremo, E che succede in semifinale? Il ginocchio cede almeno altre tre volte alla superficie maligna del Centrale, ma l’argentino sputa il sangue e trascina Djokovic fino al quinto set cedendo in poco più di quattro ore e mezza. Un po’ Paperino, un po’ Paperinik. Voto: 9
Jerzy Janowicz – Il polacco è giovane, 22 anni, e ha la stoffa del campioncino unita all’inesperienza di chi, nella prima semifinale Slam della carriera, qualche palla che grida vendetta al cospetto dell’alfiere Murray la lascia sul terreno. Biasimarlo, in ogni caso, sarebbe da folli, tanto più che pur non incontrando avversari di particolare rilievo prima dei quarti, escluso Almagro e aggiungendo al derby con Kubot un sapore di romanticismo che va oltre la classifica, il gioco mostrato lascia ottimamente sperare per il futuro. The future is now. Voto: 8
Serena Williams e Maria Sharapova – Pleonastico definirle le due immense delusioni del torneo al femminile. Il quesito semmai è se sia più criticabile la giunonica afroamericana, che si permette senza appello di regalare un match quasi vinto nelle mani della Lisicki, o la biondona siberiana, che contro la modesta portoghese De Brito può presentare come alibi lo stato dell’erba (sul Campo 2) già impraticabile dopo appena due giorni di match. Nel dubbio, dietro la lavagna almeno fino al prossimo US Open. Voto: 4
Roger Federer e Rafa Nadal – Lapàlice al quadrato: vale quanto detto per la n. 1 e 2 del ranking mondiale femminile. Arrivare alla seconda settimana senza vedere il Re elvetico e il cannibale maiorchino agilmente in tabellone è stato qualcosa di clamoroso per tutti, dai bookmakers al pubblico, che pure già un anno fa aveva dovuto assistire in presa diretta all’inizio del calvario per Rafa con la sconfitta nel secondo turno contro Rosol. Per questo, la debàcle di Federer contro il modesto ucraino Stakhovky, appena n.116 ATP, ha scatenato una scossa tellurica come solo l’eliminazione di chi, da una quarantina di Slam consecutivi, non salutava prima delle semifinali poteva provocare. Se poi vogliamo andare a cercare il pelo nell’uovo, Roger ha passato almeno il primo step prima di cedere in 4 set, mentre Rafa si è lasciato annichilire al primo turno in tre parziali e in meno di tre ore da un altro carneade come il belga Darcis. Fate Vobis. Voto: 4
Italiani e Italiane – Diciamocelo, ricavarne un voto oggettivo è meno semplice di quello che possa apparire. Perchè se è fuori discussione che piazzare 4 azzurri nel “Supermonday” della seconda settimana è stata una prèmiere nella storia del torneo londinese, vederli uscire all’unisono e con punteggi piuttosto indiscutibili ha un po’ spezzato la critica positiva sulla prestazione della pattuglia tricolore sul verde britannico. Senza dubbio, da premiare per coraggio riconoscendone senza vergogna la componente pure di fortuna, gli exploit di Karin Knapp e Flavia Pennetta, che partivano entrambe oltre il n.100 in classifica. Bene anche Andreas Seppi, prima volta agli ottavi a Wimbledon grazie ad una bella vittoria contro Nishikori. Così così Roberta Vinci, più che altro vista la brutta sconfitta contro un osso duro come la cinese Na Li. Abbastanza bene Camila Giorgi, che nello Slam londinese dà sempre qualcosa in più. Male Sara Errani, che sull’erba sembra proprio non trovarsi a suo agio. Nella somma: verde speranza. Voto: 7
Una risposta
[…] poteva certo immaginare che, 77 anni dopo, suo nipote Andy, figlio della futura primogenita Judy, avrebbe rotto la maledizione del digiuno britannico, all’ombra dei campi in erba alla periferia di Londra. E chissà se, tra non molto tempo, anche […]