Da dietro le sbarre a tutte le strade

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Compie 25 anni la Compagnia della Fortezza di Volterra; un quarto di secolo di teatro in carcere

di Alessia Signorelli (@lasignorelli)

fonte immagine: compagniadellafortezza.org

fonte immagine: compagniadellafortezza.org

Quando si parla di carcere e di teatro nella stessa frase, la tendenza è un po’ quella di vedere il teatro come un mezzo “rieducativo” tout court, un’esperienza più orientata verso il sociale che verso il risultato artistico finale.

Per la Compagnia della Fortezza, nata 25 anni fa nel carcere di Volterra, ad opera di Armando Punzo, già fondatore di Carte Blanche, invece, quello che conta davvero “non è rendere più umane le carceri” quanto piuttosto “mettere alla prova il teatro in queste condizioni.” come recita la presentazione della compagnia sul sito web.

Venticinque anni di teatro che, banalmente, si definisce “dietro le sbarre” e che, invece, quelle sbarre ha saputo superarle e lasciarsele alle spalle per una serie di tournée proprio grazie alla qualità dei risultati artistici di questo “esperimento”, che “è ancora un’utopia, un desiderio, una necessità per ricercare se stessi e una propria identità culturale e personale.”

Risultati importanti, quelli di questa compagnia, che ha all’attivo svariati premi e riconoscimenti. Nel 2004-2006, proprio Carte Blanche è stata capofila di “Teatro e Carcere in Europa – formazione, sviluppo e divulgazione di metodologie innovative”, Progetto Europeo Socrates di tutto rilievo.

Ma queste, ed altre informazioni sono reperibili nel sito web e nel blog della compagnia, sempre aggiornati e ricchi di spunti interessanti.

Venticinque anni di teatro in carcere di qualità, con sperimentazioni che hanno ri-raccontato Shakespeare, con il fortunatissimo ed intenso “Mercuzio non vuole morire” e hanno accolto a braccia aperte e “giocato” con Jean Genet, maestro controverso ed assoluto di una letteratura che travalica il bene, il male, che si fa sconvolgente atto poetico perché scava e scava ed espone l’essenza più coriacea e sfaccettata dell’uomo, tra sublimi bassezze ed angeliche depravazioni, che si fa vita nella sua forma più primordiale.

Quando si porta il teatro in carcere, ci si deve scrollare di dosso la sensazione di “buon samaritanesimo” che, di quando in quando, ammanta gli operatori; perché fare teatro in carcere significa avere una possibilità incredibile e rara di entrare in contatto proprio con l’umano, che è fatto di errori, di scelte azzardate e, qualche volta, anche di mostruosità. Sia per chi “guida” l’esperienza che per chi si lascia “guidare”, di tratta di confrontarsi su un terreno che lascia aperta qualsiasi soluzione creativa e che permette di attingere al proprio bagaglio di esperienze, rimasticandolo e rigurgitandolo in un qualcosa di nuovo e forse mai immaginato.

©Carlo Gattai fonte immagine:compagniadellafortezza.wordpress.com

©Carlo Gattai (fonte immagine: compagniadellafortezza.wordpress.com)

Lo hanno dimostrato, a livello cinematografico, anche i fratelli Taviani, con il loro Cesare deve morire, girato nel carcere di Rebibbia, con protagonisti i detenuti alle prese con il dramma shakespeariano “Giulio Cesare”, diretti dal regista teatrale Fabio Cavalli in un’esperienza di meta-cine-teatro  (una formula utilizzata anche da registi come Peter Greenaway, dove si viene a creare un senso di straniamento e contemporaneamente quasi di “esaltazione”).

L’importanza e l’innovazione della Compagnia della Fortezza risiede nella sua totale onestà nell’approcciare il discorso teatro nel carcere: non ci son santi, non ci sono peccatori, solamente esseri umani con un bagaglio importante, alle prese non con una seduta né di terapia né di ri-educazione artistica, ma inseriti in un discorso più ampio, complesso e sicuramente affascinante.

Festeggia alla grande, questo suo quarto di secolo, la Compagnia della Fortezza: sarà infatti presente al Festival Volterrateatro che avrà l’onore di ospitare la prima nazionale dello spettacolo “Santo Genet Commediante e Martire” (carcere di Volterra, 22 luglio ore 15 prova generale aperta; 23/25 luglio ore 15.00 e il 27 luglio ore 17.00); mentre il 27 luglio, alle ore 21.15, al Teatro Persio Flacco andrà in scena Mercuzio non vuole morire – la vera tragedia di Romeo e Giulietta.

Ma non si tratterà solo di rappresentazioni teatrali: il 23 luglio, ci sarà un incontro, sempre al carcere di Volterra, spazio aperto Dalì, su questi venticinque anni di sperimentazioni teatrali di qualità, durante il quale sarà presentato il libro di Armando Punzo “E’ ai vinti che va il suo amore – 25 anni di teatro della Compagnia della Fortezza”, edito dalla casa editrice Clichy.

E allora, altri cento di questi giorni, perché far capire che fare teatro in situazioni estreme come quelle di un carcere non vuol dire semplicemente “fare un buon servizio sociale”, ma creare opere intense e coinvolgenti, ed è il miglior “servizio alla società” che il teatro possa fare.

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