Piccoli cristi (non) crescono
La difficoltà di essere bambini oggi colpisce tutta l’infanzia in maniera trasversale e valica i confini dei Paesi in via di sviluppo per sedimentarsi anche nelle società del “benessere”
di Alessia Signorelli (@lasignorelli)
Una premessa è sicuramente d’obbligo: non si tratta di istinti materni o paterni. L’istinto non c’entra: si tratta, piuttosto di decenza e di rimodulare il concetto di “immorale” – a questo proposito, c’è un bellissimo ed illuminante passaggio nel tanto “scandaloso” romanzo “Le età di Lulù” (detto fra noi uno dei migliori romanzi di formazione del secondo dopoguerra) di Almudena Grandes, sul concetto di moralità.
Si tratta anche di rimodulare il nostro rapporto con l’infanzia. Al di là delle considerazioni, anche abbastanza ovvie, sul fatto che alcuni degli appartenenti alle ultime generazioni di genitori sembrano ritenere l’educare le proprie creature come un qualcosa di antico, quasi “guglielmino”, credo che sia arrivato il momento di ricomporre i pezzi e rendersi conto che lo scandalo non è la serie di foto dell’artista cubano Erik Ravelo, intitolata “Los Intocables“, che vede dei bambini nella posa del Cristo sulla croce, appesi alle schiene di diversi personaggi – tutti a rappresentare una porzione della società in cui viviamo, dal sacerdote, al soldato, al turista, al dottore, all’assassino che compie una strage; l’indecenza non sta né nell’aver “utilizzato” dei bambini, né nell’averli “messi in croce”.
Scandalizzarsi di queste fotografie in sé è un atto decisamente ipocrita, un voler mettere la testa sotto la sabbia e concentrarsi sull’estetica, anziché sul messaggio vero, profondamente etico e doloroso che questo artista ci vuole trasmettere. Perché, foto come quelle de Los Intocables, ci mettono davanti a noi stessi, senza sconti di sorta. Perché mentre il mondo “civilizzato” ( e anche su questo concetto ci sarebbe da discutere) è stato, a quanto pare, in trepidante attesa per settimane dell’ultimo nato in casa Windsor, la vita è andata avanti, crudele e famelica e ha continuato imperterrita a macinare carne innocente.
Non si tratta né di moralizzare né di fare facile demagogia, ma di ammettere a noi stessi che, alla fine fine, fatti salvi i casi che sappiamo, dei bambini ci interessa fino ad un certo punto, o, almeno, fino a che ci permettono di continuare un’azione il cui verbo è così abusato da essere oramai stucchevole e fastidioso: sognare.
Noi adulti abbiamo un enorme, spaventoso debito nei confronti dell’infanzia. Di tutta l’infanzia. Nei confronti dei bambini vittime di preti pedofili, vittime delle guerre, vittime dell’abietto turismo sessuale – una piaga mostruosa – vittime del traffico di organi, ma anche vittime di un eccesso di benessere (come nella foto del bimbo sovrappeso, crocifisso alla schiena del pagliaccio della catena McDonald’s) e di una società che non riesce a proteggerli davvero.
Lo scandalo è scandalizzarsi (scusate il gioco di parole) davanti alle foto di Erik Ravelo per le ragioni sbagliate. Lo scandalo è l’idea di censurare certe espressioni per una presunta volontà moralizzatrice che, invece, vuole solo auto-conservarsi e continuare a vivere in questo “sognare” stantìo.
Erik Ravelo ci mette davanti alle nostre colpe, ai nostri eccessi dei quali sono i bambini a pagarne le conseguenze. Così come l’abbandono e la violenza uccidono l’infanzia, anche l’eccesso di indulgenza, la mancanza di regole, un dare continuo senza riuscire a trovare un giusto limite sono altrettanto dannose.
Da una parte, abbiamo bambini che sono fantasmi ancora prima di morire, dall’altra, abbiamo plasmato creature la cui infanzia si è disintegrata nel momento in cui il comportamento dei propri genitori ha fatto loro passare il messaggio di essere “piccoli dei” ai quali tutto è concesso e tutto è permesso; atti di bullismo che vedono i genitori difendere il “carnefice” quando addirittura giustificarlo perché “è un bambino”, figli usati come merce di scambio o arma di ricatto, oppure come “estensioni” dei propri genitori e per questo obbligati a riuscire là dove il genitore non è arrivato e, quindi, visti come cura alle proprie frustrazioni, ai propri fallimenti.
Erik Ravelo ci fa vedere una cosa sola, fondamentalmente, nella sua opera: i bambini sono i nostri “poveri cristi”, i nostri agnelli sacrificali, sia nei Paesi più poveri che in quelli dove comunque sopravvive un certo benessere. E fa pensare anche il titolo “Los Intocables”, gli intoccabili, che dovrebbero essere proprio i nostri figli, ma, in realtà, alla fine, a diventare intoccabili sono proprio quelli che sfruttano, massacrano e spezzano l’infanzia, perché noi continuiamo a scandalizzarci per le cose sbagliate.
Il problema è che abbiamo perso il significato dell’infanzia… basta vedere come ammiriamo il bimbo che “parla già da adulto”… no, quello non è un bimbo da ammirare, è un bambino malato vittima di una società malata, che ha perso qualcosa di sè.
Abbiamo dimenticato, in una società che per i bambini non ha spazio, quanto l’infanzia sia fondamentale per creare la nostra identità di adulti: ne parlavo proprio oggi, anche se con toni diversi, nel mio blog (passa se ti va)… l’infanzia è quella fase delicatissima in cui il nostro carattere, il nostro essere si crea.. e che adulti creiamo desso? Adulti anestetizzati alle emozioni, adulti i cui valori si riducono all’utile e al pratico, adulti abituati al male in cui il bene e un’eccezione?