Il bunker che si fece galleria d’arte
Dai nazisti alle opere visionarie: la storia simbolo di una Berlino in divenire
di Federica Salzano
La si potrebbe definire una home gallery sui generis. Ma Sammlung Boros, nel cuore di Berlino, è molto di più. Un maestoso bunker nazista costruito durante la II guerra mondiale che negli anni ha cambiato pelle molte volte per arrivare oggi a ospitare una tra le più eterogenee collezioni d’arte contemporanea.
Passeggiando tra le strade eleganti intorno a Friedrichstrasse ci si imbatte in questo monumentale cubo di cemento armato, severo e impassibile, che nel tempo non ha perso il suo fascino intimidatorio. D’altronde a Berlino la storia non passa senza lasciare tracce e la “movimentata” vita del bunker racconta in modo esemplare l’essenza di una città sospesa tra passato e presente, voglia di innovazione e retaggi di ciò che è stato.
La storia del Reichsbahnbunker ripercorre fedelmente le più importanti tappe di quella berlinese. Nel 1941 l’architetto nazista Albert Speer lo concepì come un rifugio antiaereo per i viaggiatori della vicina stazione. Alla fine della guerra i sovietici se ne impadronirono e ne fecero una prigione. Dal 1949 venne utilizzato come magazzino di frutta tropicale importata da Cuba, conquistandosi così il soprannome “banana bunker”.
Dopo la Riunificazione, tra musica techno e party fetish, l’edificio si guadagnò la reputazione di uno tra i club più trasgressivi al mondo e “Sexperimenta”, la gigantesca fiera del commercio erotico, stabilì qui la sua sede. Fino al 2003, quando fu acquistato dal magnate tedesco della pubblicità Christian Boros per usarlo come abitazione ed esporvi la propria collezione d’arte contemporanea.
I lavori di ristrutturazione durarono 5 anni e si tradussero in un emblematico esempio del trasformismo architettonico tedesco, nel quale il rinnovamento urbano non punta solo a costruire ma si focalizza piuttosto a reinventare l’esistente. D’altronde lo stesso Boros confessò che sin dall’inizio era andato alla ricerca di uno spazio convertito: in una città in costante trasformazione non aveva senso costruire qualcosa di nuovo.
E così le oltre 80 stanze disposte su 5 piani sono state rielaborate per accogliere le opere degli artisti facendole interagire con un contenitore dalla forte personalità. Pur rendendo la struttura più adatta a ospitare una collezione d’arte, non è stata intaccata l’identità dell’edificio con le sue porte blindate, i condotti di areazione e l’originale intonaco delle pareti che vede sovrapporsi ai graffiti della discoteca techno il nero delle darkroom. Entrando nel palazzo non si resta impassibili: alle suggestioni delle opere si aggiunge la claustrofobia di uno spazio senza finestre.
Dopo la prima esposizione che dal 2008 al 2012 ha attratto 120.000 visitatori è ora in mostra “Sammlung Boros #2“. Oltre 100 opere realizzate dagli anni ‘90 a oggi da artisti di diverse culture e formazioni: Klara Lidén, Wolfgang Tillmans, Ai Weiwei e Thomas Ruff sono solo alcuni di loro. Sculture, quadri, video, fotografie e istallazioni sollecitano tutti i 5 sensi. Non solo arte da osservare, quindi, ma anche da assaggiare e odorare, come i pop-corn di Michael Sailstorfer, o ascoltare, come il rumore amplificato dell’orologio di Alicja Kwade.
La scelta delle opere non segue un filo logico, ma dipende dal gusto del proprietario che ama definirsi più ospite che curatore: semplicemente lascia che siano gli artisti a decidere dove disporre i propri lavori, in attesa che ad ammirarli arrivino quelli che lui non chiama visitatori, ma “ospiti”. Perché Sammlung Boros prima che un museo è una casa. E insieme una storia da raccontare, di quelle che possono essere ambientate solo a Berlino.