Venezia 70: i primi 3 giorni
Sono passati tre giorni dall’inizio della Mostra. Per chi scrive è la prima volta al Lido e la primissima partecipazione ad un festival di cinema. La curiosità si spinge oltre i film, verso un mondo popolato da diversi personaggi che operano, tutti direttamente o indirettamente, alla riuscita dello spettacolo
di Giulia Marras
I giornalisti si contraddicono per il colore del badge, a seconda dell’accredito: stampa cartacea, on line, periodici, giornalieri. E si gioca una battaglia silenziosa per gli ingressi alle anteprime, con tentativi di sorpasso, mascheramento del colore, insulti alle maschere innocenti e ore e ore di attesa e fila per entrare per primi. Siamo una grande categoria, divisa all’interno. Ma c’è anche una grande solidarietà e voglia di discutere su ciò che si vede e succede.
Saranno applausi o saranno fischi? Il secondo caso è capitato il 30 agosto, all’anteprima di The Canyons di Paul Schrader: effettivamente al limite del ridicolo, pur con degli aspetti che non possono essere sottovalutati (il meta-discorso sul cinema e soprattutto sul cinema di Schrader), personalmente ho trovato fastidiose le grasse risate che si sono scatenate da parte di molti, seppur forse giustificate, confondono comunque la visione e la conseguente interpretazione personale del critico.
Del resto, sembra che quest’anno regni il disfattismo: per ora non si è ancora assistito al capolavoro che, volenti o nolenti, ci aspettiamo. L’arbitro di Paolo Zucca ha divertito si, ma ci sembra che il cinema sardo ridotto a commedia con starlette italiane non si meriti l’appoggio a un genere che non gli appartiene totalmente, soprattutto se si trascina nel grottesco e macchiettistico.
La prima giornata ufficiale è andata malino: Gravity ha sorpreso, sì, ma la solita hollywoodiana tendenza alla spettacolarizzazione degli effetti speciali, della tensione a tutti i costi, abbia portato una solida idea e sceneggiatura fuori dai binari. La Belle Vie e Gerontophilia, entrambi della sezione Giornate degli Autori, non aggiungono nulla di nuovo, anzi deludono in corso d’opera, seppure il secondo in misura maggiore del francese, che propone l’interessante storia vera di due fratelli rapiti dallo stesso padre e cresciuti come ostaggi consenzienti, senza una fissa dimora.
Il 29, c’è stata la sorpresa Emma Dante: il film si svolge in Via Castellana Bandiera, e vede lo scontro quasi western tra due donne siciliane. Un impianto teatrale per una riuscita cinematografia simboleggiante l’assenza di mobilità, la dolce durezza e la testardaggine di tutto il popolo italiano. E poi Tracks di John Curran, storia vera del viaggio della Signora dei Cammelli, interpretata da Mia Wasikowska: emozionante come ogni viaggio compiuto, specie se coraggioso e bizzarro, quindi scritto da sé e non certamente stupefacente.
Ci sembra invece che il livello giusto da avere ad un Festival sia quello di Peter Gröning con La moglie del Poliziotto. Tre ore per 59 capitoli di frammenti di vita di una famiglia di provincia. Sì, forse, troppi, ma il risultato è la resa praticamente verista del lento consumarsi dell’amore coniugale e della violenza fisica subita; dell’amore filiale devoto e assoluto. Una concentrazione sul corpo colpito e di anime ostinate. Oltretutto il tema della violenza domestica femminile non passerà di certo inosservato ai giurati per un possibile Leone D’Oro.
E poi l’unico piccolo capolavoro, ingiustamente e vigliaccamente lasciato Fuori Concorso, il Why don’t you play in hell del giapponese Sion Sono: punk, rumoroso ma mai fastidioso, trash ma furbissimo, splatter fino all’inverosimile, il film di Sono prende la storia del cinema, la accartoccia e ce la tira in faccia, insieme a litri di sangue. Fa impallidire Tarantino e soprattutto Kill Bill, e lo rispedisce a casa, rivoltando il b-movie e il cinema giapponese tutto. Critica unanime, divertita finalmente, ma senza sensi di colpa. Sappiamo che è già cult e ce lo ripetiamo da giorni, forse per rassicurarci della poco qualità che per ora abbiamo visto.
Accanto a noi passano George Clooney, Nicholas Cage, Mia Wasikowska, ma non ci curiam di loro. Corriamo speranzosi verso la prossima fila, per il prossimo film che ci deluderà.