Quei campesinos che rivendicano la loro Terra
Agosto rovente per le strade di una Colombia in bollore. La protesta dei contadini contro un governo sordo e cieco alle loro esigenze
di Martina Martelloni
È dal 1886 che la Colombia ha assunto quella struttura indipendente che la rese Stato e, dal 1991, Repubblica presidenziale. Da tre anni e poco più, a dirigere la rete di questo Paese bagnato dall’oceano pacifico e dal Mar delle Antille, è il presidente Juan Manuel Santos – iniziare un racconto da colui che in qualche modo ne è principale protagonista, aiuta la comprensione e la profonda empatia degli accadimenti che per giorni e giorni hanno incendiato la Colombia.
La famiglia Santos è potente, lo è sempre stata nella capitale Bogotà e di certo questo, non è un semplice dettaglio della mole di potere che Juan Manuel fodera sui suoi concittadini, il suo pueblo. La sua formazione statunitense, sostenuta ad Harvard, può racchiudere quell’elemento che influenza e che ha determinato la sua politica statale proiettata ad una vasta e sconfinata liberalizzazione commerciale con gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Un accordo che dal 2012 prevede l’azzeramento dei dazi doganali per favorire una spasmodica circolazione di prodotti e beni. Uno scenario, questo, tipico del processo incontrollato della globalizzazione che instancabilmente ha travolto anche l’America Latina e la sua tradizione agricola.
Per un paese che fa del settore primario – e agricolo in particolar modo – il suo cavallo di battaglia, queste misure liberalcommerciali portate all’estremo e senza forme di tutela, hanno devastato un’intera fetta della popolazione che di terra ci viveva e ci sopravvive tutt’oggi.
I campesinos hanno protestato e continueranno a farlo finché il governo non si accingerà a ridurre gli alti prezzi della benzina, a concedere maggiori sussidi statali e, ancor più di spessore umano, aprire la porta alle loro parole, richieste, sollecitazioni.
Lo sciopero generale indetto dagli agricoltori ha coinvolto un po’ tutti coloro che sono esausti delle politiche poco rappresentative del governo di Juan Manuel. E così in piazza sono scesi anche operai comuni, studenti, minatori, camionisti…a fianco dei campesinos, per non lasciarli soli di fronte al potere.
Dall’alto della sua residenza, il presidente ha ammesso il verificarsi di atti di abusi da parte della polizia e dei militari che in undici giorni di proteste hanno ferito decine e decine di manifestanti, arrestandone più di 260 e causando anche la morte di 12 contadini – cifre e dati espressi dalla Mesa Nacional Agropecuaria y Nacional de Interlocución y Acuerdo.
Certo, una conferma consapevole delle ferite riportate al cuore della Colombia da parte del primo cittadino hanno un loro peso specifico ma non cancellano ciò che è accaduto – e soprattutto non accelerano trattative ed incontri d’ascolto con i manifestanti campesinos. Una banale giustificazione governativa alla indegna repressione, riporta al nome delle FARC, accusate di incitamento e sostegno emotivo dei campesinos, ma ovviamente è tattica di facile deviazione della verità, un pretesto strumentalizzato.
Il fronte di guerriglia prende le parti dei più deboli, in questo caso, e incrimina il presidente Santos per i fatti di Agosto e per aver confermato alla carica di ministro della Difesa Juan Carlos Pinzón, un uomo che fa della frusta una sua specialità e che ordina all’esercito di “sopprimere le proteste con sangue e fuoco” – questo è quanto si legge in un comunicato delle Farc.
Intanto sono ripresi in colloqui all’Avana, negoziato di pace tra governo e FARC iniziato lo scorso 18 ottobre 2012 a Hurdal, Norvegia. Sul tavolo dell’incontro si parla di molto, di tutto ciò che rivendica il potere legittimato da una parte e quello rivoluzionario dall’altro, ma tra le tematiche centrali ed urgenti “il diritto del campesino” è priorità insormontabile per giungere ad un reale Pacto Rural richiesto al presidente Santos.
I contadini vogliono la loro terra, ne vogliono sentire l’umidità tra le mani, il possesso insito che gli è stato negato con il via libera al Trattato di Libero Commercio con gli Usa e che soprattutto che si torni a parlare di sovranità alimentare ora ingabbiata e manipolata dalle multinazionali ladre di terre.