SACRO GRA e il documentario a Venezia70
L’analisi della presenza del genere documentario al Festival e del suo vincitore: Sacro Gra esce nelle sale italiane giovedì 19 settembre
di Giulia Marras
Si è parlato molto di Sacro Gra. Se ne è parlato perché è stato il primo film italiano a vincere il Leone d’Oro a Venezia, 15 anni dopo Gianni Amelio. Ma soprattutto perché si tratta di un documentario, genere per il quale non è mai stata facile o scontata la presenza ai festival. Essendo (quasi sempre) scardinato dalla finzione narrativa, la quale invece muove sempre il film “d’intrattenimento” per quanto verosimile o no, il documentario è rimasto svalutato rispetto al cinema di finzione, finendo relegato in televisione o nelle sezioni più nascoste dei festival. Ultimamente però, si assiste a una riabilitazione del genere, che occupa finalmente anche le sale di città, e infine i concorsi ufficiali.
A Venezia infatti non è stato solo il momento di Sacro Gra, ma anche di Errol Morris, celebre documentarista americano (Premio Oscar 2004 per The Fog of War. La guerra secondo Rober McNamara), che ha portato sugli schermi del Lido un dialogo/monologo di Donald Rumsfeld, ex-segretario della Difesa delle amministrazioni Ford e Bush, e uno dei principali promotori della guerra in Iraq. The Unknown known, questo il titolo che riprende una delle massime di Rumsfeld ( “There are known knowns; there are things we know that we know. There are known unknowns; that is to say, there are things that we now know we don’t know. But there are also unknown unknowns – there are things we do not know we don’t know.”), è un incontro, neanche troppo spietato, che ripercorre la carriera del politico repubblicano, smontandone la retorica, seppur abilissima, ma inconsapevolmente contraddittoria e non troppo inconsapevolmente mistificante.
Un’analisi degli appunti personali e ufficilali, delle parole a cui il Segretario non ha mai smesso di attribuire un’importanza sacra; un “mare” – elemento figurale maggiormente presente nel film – di parole in bilico, accompagnato dalla colonna sonora di Danny Elfman.
E andando un po’ fuori tema, poiché Proiezione Speciale fuori Concorso, non si può non menzionare a proposito dei documentari presenti a Venezia At Berkeley di Frederick Wiseman, un’immersione di quattro ore sulla vita universitaria del college pubblico americano. Posizionate le telecamere all’interno delle aule, degli uffici, dei corridoi e dei giardini per oltre due anni di seguito, Wiseman focalizza il montato sul periodo di drastico calo dei finanziamenti statali e del conseguente aumento delle tasse, che scateneranno manifestazioni studententesche lampo, e forse fin troppo pacifiche.
Nel corso dell’opera inoltre, il lavoro intellettuale nelle riunioni dei docenti, nelle lezioni, nelle ricerche degli studenti si alterna alle immagini del lavoro manuale degli inservienti, degli spazzini, dei muratori, che operano dentro Berkeley. La visione lucida del regista serve a unire un filo in apparenza sconnesso, in profondità saldo lungo delle lezioni di vita a cui altrimenti non potremmo assistere: l’attenzione alle difficoltà economiche degli studenti, alle ancora presenti diversità razziali che influiscono la socializzazione; dalla metaforica lezione sugli spostamenti degli insetti a quella altrettanto simbolica sul tempo.
E infine torniamo a Sacro Gra. Parliamoci chiaro: nella scoperta dei 70 km del Grande Raccordo Anulare, non c’è lo sguardo oggettivo di Wiseman, né quello polemico e perplesso di Morris. Anche Rosi, come Wiseman, ha speso due anni a raccogliere materiale “sul campo”. Ma si distacca dal documentario vero e proprio, scegliendo delle storie e personaggi in particolare, soprattutto particolari: l’anguillaro, il palmologo, il proprietario della villa per ricevimenti e set cinematografici, l’attore di fotoromanzi, il nobile decaduto e costretto in un appartamento popolare. Personaggi che divertono, commuovono e riempiono il campo anche da inquadrature lontane. Certo, nella loro peculiarità sono ben lontani da rappresentare un’umanità che si pretende di rappresentare con così pochi esempi, ma sicuramente Sacro Gra restituisce a Roma e alle periferie un’immagine molto più fedele a se stessa, che nessun Sorrentino o Verdone hanno saputo creare.
Come ha dichiarato il regista in conferenza stampa: “la parola chiave è la sottrazione di informazioni, e quindi la trasformazione di un luogo in qualcos’altro”: non ci sono stratificazioni di senso, non si pone nulla a confondere la visione. Le immagini, comunque scelte a puntino (la visita dell’infermiere alla madre, il canto liberatorio della prostituta, i teatrini quasi sceneggiati del nobile) non hanno intermediazioni, e lo spettatore ne percepisce tutta la realtà. A modo suo, la vera Grande Bellezza di Roma è questa. Ne vorremmo vedere di più.