SMS: Save my soul
Un uomo, Nicolino, racconta la sua storia di vita disagiata al regista Piergiorgio Curzi. Ne esce fuori l’immagine di un uomo tormentato la cui unica fuga dalla realtà è la poesia
di Francesca Britti
Vincitore del secondo premio del Contest-documentario in sala, tenutosi al Cinema Aquila lo scorso giugno, il film Sms- Save my soul di Piergiorgio Curzi lascia una sensazione di incertezza e stupore. Semplice e diretta, la storia di Nicolino ha un qualcosa di amaro.
Un uomo che racconta al regista pian piano la sua storia e lo fa apparentemente senza rimorsi e rimpianti. Si forma così un mosaico costituito da 5 persone il cui centro è proprio Nicolino, padre degli altri 4 “personaggi” del racconto. Un racconto intimo in più direzioni, quello sessuale (sentito ma non visto) di una delle “amanti” di Nicolino e quello dei 4 figli, avuti ma non voluti.
Nicolino cerca le sue “amanti” sugli annunci di lavoro e le conquista grazie ai suoi messaggi d’amore e alle sue poesie. Alcune rispondono con curiosità e intrecciano una relazione platonica, altre lo chiamano e si innamorano di lui, che rifiuta perché incapace di poter dare loro un futuro “normale” e c’è chi, ovviamente, risponde infastidita.
Ma andando oltre l’apparenza, cioè di un “porcone” come si definisce lui, la sua immagine è quella di un uomo segnato dalla vita, dalla sofferenza e protagonista di un malessere interiore che ha trasmesso a tutti i figli, le cui presenze materne non vengono neanche citate nel film.
Quattro figli (tre maschi ed una femmina) con gravi turbamenti psichici. Ci si chiede cosa questo padre abbia mai potuto fare di così grave nella sua vita di genitore da condurre i figli ad essere sbandati e turbati al punto di non voler neanche (o non essere in grado di) parlare dei ricordi del passato. Qualche foto e qualche dichiarazione furtiva lasciano trasparire un’infanzia molto difficile, da cui fuggire per poi ritrovarsi a dover ricostruire quei pezzi del mosaico, che è la loro vita, in modo da affrontare e raggiungere la salvezza dell’anima, che con un gioco di parole da il titolo al documentario.
Non c’è naturalmente un happy ending. La storia di Nicolino non ha speranze ma solo una fuga verso l’irrealtà che nasconde una realtà dura e brutale che mostra l’impotenza di Nicolino padre. Un ritratto crudo che non dà spazio alla compassione o alla pietà, sentimenti che lo stesso Nicolino non accetterebbe. Basti pensare che uno dei suoi pensieri cardine è: “Il sintomo del malessere è malattia”. Bisogna, quindi, fuggirne.
“La mia curiosità iniziale, un po’ morbosa”, ha raccontato il regista Curzi, “di osservare dal buco della serratura le compulsioni amorose e sessuali di un poeta, si è trasformata, in poco tempo, in un’indagine sull’ambiguità e il mistero di un uomo, un padre”. Un mistero che lascia quelle sensazioni descritte all’inizio quando il film finisce, ma ci sono punti oscuri sulla sua vita e sul suo trascorso che vengono volontariamente lasciati fuori dalle telecamere ma che non permettono una completa comprensione del racconto e della figura protagonista.