L’arcipelago della religione
La religione torna a invadere le isole filippine. Scontri, rabbia e richiesta di indipendenza affliggono Mindanao e tutta l’area circostante la città principale di Zamboanga. I ribelli islamici sono tornati per sfidare lo Stato
di Martina Martelloni
La storia del Fronte Moro di Liberazione Nazionale (MNLF) ha origine lontane, salto al passato che riporta a quarant’anni fa, quando l’isola di Mindanao – la seconda più grande dell’arcipelago filippino – ha assistito alla nascita, crescita e maturazione di questo movimento insurrezionale guidato e motivato emotivamente dalla fede, l’Islam.
Se il cattolicesimo marchia l’82,9% della popolazione filippina, la componente musulmana è pari al 4,6% – dato minoritario ma che tradotto racchiude ben 6 milioni di fedeli residenti nel Sud delle Filippine.
Ebbene: come spesso è accaduto, come solitamente accade e come probabilmente accadrà molte altre volte, la religione è spada puntata verso quello che si considera minaccia e nemico. Pericolo per la propria devozione e stile di vita mirato al perseguimento degli obiettivi che per molti, solo la fede, cattolica o musulmana che sia, è in grado di indirizzare e valorizzare.
Su un terreno fertilizzato di tale maniera, non può che seminarsi e crescere una instancabile ricerca di riconoscimento e totale libertà di professione, senza ostacolo alcuno e senza incomprensioni con i “diversi”.
I ribelli del MNLF di questo si nutrono e da anni cercano, nel potere centrale e istituzionalmente riconosciuto, quell’avversario da battere per fare del territorio un loro campo da arare e coltivare. Così, dopo lunghe battaglie contro l’esercito e affronti di vario genere con la restante parte cristiana del popolo, nel 1996 si avviarono trattative per un accordo di pace dove la posta in gioco si chiamava autonomia e dove le regioni abitate prevalentemente da musulmani, ne erano l’oggetto di discussione.
Questa stretta di mano tra Stato e gli indomiti islamici, non ha avuto la totalità del pubblico ad applaudire e compiacere. Tutt’altro, all’interno del gruppo ribelle alcuni membri hanno gridato guerra al loro stesso movimento dando vita al MILF, il Fronte di Liberazione Islamico Moro – mentre altri ancora si sono scissi nel gruppo Abu Sayaf legato ad Al-Qaida. La separazione tra MNLF e MILF va compresa e assorbita nella mente, per poter capire l’intreccio storico che ha portato a lotte intestine al movimento e sfide perenni contro la capitale Manila.
Sono trascorsi 14 giorni dal ritorno in auge delle proteste armate dei ribelli islamici, scontri con esercito e polizia che imbellettano il tutto con un crescente numero di vittime ora aggiornato a 118 di cui 102 ribelli.
Le voci delle autorità statali parlano di una rapida e scorrevole riconquista dei territori occupati dal MNLF. Una bandiera filippina che si interra nuovamente in quelle isole dove dal 9 settembre si tenta di dichiarare l’indipendenza dal governo di Manila accusato di ignorare e marginalizzare le esigenze della popolazione musulmana.
Il presidente Benigno Aquino jr. ha mobilitato il suo arsenale da guerra per stroncare le rivolte e liberare le zone occupate a sud di Zamboanga ma la violenza delle collisioni è stata devastante e ad oggi il ritorno a trattative diplomatiche sembra più che mai un uscita d’emergenza.
Già nel 2008, differenti atti di forza e manifestazione di chiara voglia di indipendenza, hanno segnato l’isola di Mindanao, ma ora la rivalità più infuocata marchia i ribelli sulla pelle; o sei con il MNLF o appartieni al MILF. Poco tempo è trascorso da un tentativo di dialogo tra quest’ultimo movimento separatista e il governo per la creazione di una regione autonoma, nel 2012 l’incontro tra i due fronti ha escluso gli appartenenti al MNFL rinfiammando le già accese ostilità, le stesse che oggi riportano le Filippine ad affrontare un tema per troppo tempo inascoltato e reso cieco; la religione come frontiera che separa, che divide i cristiani cattolici dalla minoranza musulmana.