La ferita del Re e della sanità spagnola
Proprio mentre in Spagna è in corso un dibattito infuocato sul destino della sanità pubblica, Juan Carlos I si opera in un ospedale privato
di Maria Bonillo Vidal
Il re di Spagna, Juan Carlos I, è stato operato altra volta. L’intervento è stato realizzato in un ospedale privato della capitale spagnola, dove non si udivano i fischietti e gli slogan delle manifestazioni dei medici e degli infermieri madrilegni che ogni settimana protestano per rivendicare il diritto a una sanità pubblica e di qualità – radunandosi in piazza per protestare contro il piano di privatizzazione (o “esternalizzazione”, come preferiscono definirla) messo in atto dal governo autonomo.
Il modello di cui si discute è il cosiddetto modello “Alzira”, dal nome della città valenciana che per prima volta ha instaurato nel Paese iberico questo sistema duale: ospedali pubblici controllati dai poteri pubblici ma finanziati e gestiti da mani private – si tratta, dunque, del primo ospedale combinato del Paese. Il modello Alzira è stato preso in considerazione quale modello virtuoso, ma la verità è che i bilanci del centro sanitario valenciano erano già in salute – come è normale che sia, in ogni servizio pubblico che si rispetti. I politici lo indicano quale futuro del sistema sanitario: politica di tagli portata all’estremo.
Il governo della comunità di Madrid, tuttavia, non vuole imporre il modello Alzira soltanto in un ospedale. Sono parecchi, in effetti, i servizi sulla via dell'”esternalizzazione”, con tutto ciò che essa comporta. A cominciare dal personale sanitario, che sarebbe messo sotto contratto da un’impresa privata secondo le sue condizioni lavorative, fino ad arrivare alla stessa attenzione sanitaria dei malati – che a quel punto sarebbero piú dei “clienti”, che dei pazienti.
I partiti politici d’opposizione e i sindacati hanno denunciato vari casi di conflitti lavorativi nell’ospedale valenciano la cui contestazione si è spinta fino al’Alto Tribunale Autonomo (TSJV) – che ha sentenziato l’obbligo del centro ad assumere secondo contratto collettivo. D’altra parte si è osservato anche come siano aumentati i casi di pazienti che provengono da città vicine, sopratutto partorienti che accorrono nella struttura per ottenere l’epidurale. Gli ospedali limitrofi non la effettuano e Alzira incassa: business is business. Altra questione spinosa, la mancanza di controllo politico su questi centri – questione che lascia scontenti soprattutto i sindacati.
Ma tutte queste questioni vengono messe da parte, quando vi è di mezzo il Re. Nella stanza in cui è ricoverato, non esistono conflitti lavorativi, non contano le cifre, non ci sono liste d’attesa. Almeno le forti misure di sicurezza non hanno reso necessaria la chiusura di un intero piano di un ospedale pubblico. Almeno il monarca non ha dovuto aspettare 110 giorni, prima di essere operato – che è più o meno la media, a Madrid.
Forse proprio per queste ragioni: nel bel mezzo di una disperata campagna mediatica per ripulire la sua immagine, il Re ha voluto operarsi in privato. Come spiegavamo qualche mese fa su questa testata, la Casa Reale si trova ad affrontare il suo periodo piú nero.Il caso di corruzione Nóos, che vede coinvolto il genero del Re Iñaki Urdangarin, ha fatto scendere vertiginosamente il numero dei simpatizzanti con la Corona.
La crisi economica ha inciso ulteriormente. Proprio mentre i cittadini subiscono tagli ai servizi e aumenti della pressione fisclae, la famiglia reale continua ad essere “intoccabile” – a livello politico, sociale e adesso anche giudiziario. Insomma: la ferita del Re non si trova soltanto nell’anca. E neanche quella della popolazione spagnola.