Il Gene criminale: la Mafia al Nord è una tradizione di “famiglia”
Cinzia Mangano, figlia del noto “stalliere di Arcore” Vittorio Mangano, è stata arrestata a Milano. Per gli inquirenti è stata “vertice, promotrice e capo” di un’associazione criminale con base in Lombardia considerata “diretta emanazione” di Cosa Nostra
di Guglielmo Sano
L’abitudine di negare la presenza della Mafia nel Settentrione d’Italia sta a poco a poco scomparendo. Qualcuno ancora si ostina a considerare “Camorra, Cosa Nostra e ‘Ndrangheta” come faccende unicamente circoscritte a Campania, Sicilia e Calabria, ma la realtà dei fatti costringe sempre più a fare i conti con la presenza della criminalità organizzata nel tessuto economico più “florido” del nostro paese.
L’operazione “Esperanza”, portata a termine dalla Squadra Mobile di Milano il 24 Settembre, possiede l’anatomia di un paradigma: gli inquirenti ci restituiscono un’immagine ben messa a fuoco della vocazione affaristica, delle attività illegali e delle collusioni con la politica che hanno permesso, alla criminalità organizzata, di impossessarsi del “Nord”.
Le indagini, cominciate nel 2007, hanno portato all’arresto di Giuseppe Porto e dei coniugi Enrico Di Grusa e Cinzia Mangano – quest’ultima è la figlia del noto boss Vittorio, deceduto nel 2000 e ritenuto dal giudice Borsellino la “chiave” del riciclaggio del denaro sporco di Cosa Nostra in Lombardia. I tre sono ritenuti essere i promotori di un’associazione criminale che faceva capo direttamente al mandamento palermitano di “Pagliarelli”, come testimoniano i “pizzini” firmati dall’ex latitante Giovanni Nicchi.
Gli investigatori hanno rintracciato un cospicuo flusso di denaro che, i tre presunti colpevoli, con la complicità di commercialisti, bancari e legali, ricavavano dall’emissione di fatture false e dallo sfruttamento della manodopera all’interno di una vasta rete di cooperative attive nella logistica e nei servizi.
I guadagni, rigorosamente “in nero”, servivano per il mantenimento dei latitanti ma anche per effettuare nuovi investimenti nelle province lombarde. Un’organizzazione “imprenditoriale”, quindi, che non si concentrava esclusivamente su attività illecite.
Per gli arrestati è, comunque, ipotizzabile il reato di “associazione per delinquere di stampo mafioso” poiché, spiegano i magistrati, “si avvalevano della forza di intimidazione del vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento e di omertà che ne derivano per la commissione di estorsioni, favoreggiamento della permanenza sui territorio italiano di manodopera clandestina, false fatturazioni”.
In sostanza per farsi pagare non avevano bisogno di ricorrere alla violenza fisica, bastava il proprio nome a fare da “garanzia”. Intercettata, la figlia di Vittorio Mangano dice, riferendosi alle minacce nei confronti di un imprenditore in ritardo con il pagamento del pizzo: “non abbiamo bisogno di presentazioni”.
D’altronde Cosa Nostra, a Milano, fa affari sin dal dopoguerra. E negli anni 70-80, proprio Vittorio Mangano, capo-mandamento della famiglia di Portanuova (Palermo) trasferitosi sotto la “Madonnina”, incrementerà la presenza criminale siciliana e i suoi guadagni, nella “capitale” lombarda, gestendo direttamente sequestri e, soprattutto, traffico di droga – ma anche attività dalla “faccia pulita” come aziende di facchinaggio e autotrasporti (a quanto pare ereditate da sua figlia e dal genero).
Lo “stalliere di Arcore” dalla sua parte aveva anche un uomo “in vista” dell’economia (poi della politica) milanese e non solo: Marcello Dell’Utri.
Dell’Utri è attualmente imputato per concorso esterno in associazione mafiosa. Condannato in primo grado nel 2004 e in appello nel 2011, la Corte di Cassazione ha annullato quest’ultima sentenza poiché non era stata “dimostrata l’accusa di concorso esterno per il periodo in cui il senatore di Forza Italia lasciò Fininvest per andare a lavorare per Filippo Alberto Rapisarda, tra il 1977 e il 1982”. La Corte d’Appello lo ha nuovamente condannato nel marzo del 2013, ritenendo “probatoriamente dimostrato” che Dell’Utri abbia operato per il rafforzamento di Cosa Nostra “favorendo il pagamento all’associazione mafiosa di somme di denaro non dovute da parte di Fininvest”.
Sempre nella sentenza di “rinvio in appello”, i magistrati scrivono che risulta pienamente confermato l’incontro del 1974 tra Berlusconi, Dell’Utri e i capimafia Francesco Di Carlo, Stefano Bontate e Mimmo Teresi, durante il quale, fu presa la decisione di far seguire l’arrivo di Vittorio Mangano presso l’abitazione di Berlusconi in esecuzione di un accordo che prevedeva la “protezione” del futuro Presidente del Consiglio e della sua famiglia dal rischio dei sequestri, in quel periodo molto diffusi.
Un “patto” vantaggioso per entrambe le parti e che si ritiene essere stato la base per futuri scambi di favori politici e consenso elettorale.
La lezione di Vittorio Mangano sui “rapporti tra Mafia e Politica” sembra essere stata appresa molto bene, oltre che dai suoi familiari, anche dai suoi più stretti collaboratori arrestati in questi giorni: Giuseppe Porto, braccio destro di Mangano e probabilmente suo erede nella “funzione” di rappresentante degli interessi di Cosa Nostra a Milano, durante le elezioni per il Consiglio Regionale della Lombardia del 2010 sembra “si sia adoperato per sostenere il candidato del Pdl Domenico Giambetti, poi eletto e divenuto Assessore alla Casa nella giunta di Roberto Formigoni”. Lo stesso Zambetti che poi verrà arrestato per voto di scambio con la ‘ndrangheta e concorso esterno in associazione mafiosa.