L’avvicinamento inaspettato
Una telefonata, qualche dichiarazione postuma all’assemblea dell’Onu e il Mondo riscrive le pagine della storia. Perché Usa ed Iran hanno infranto lo specchio del gelo diplomatico?
di Martina Martelloni
Nel gennaio 2002, il presidente americano George W. Bush si è schiarito la voce, ha stretto i pugni più forte che poteva, e con gli occhi rivolti alla Nazione Statunitense ha fatto tre nomi, tre nomi di Paesi appartenenti all’ “Asse del Male”.
Corea del Nord, Iraq ed Iran, potenze all’antitesi tra loro, un bianco e nero che si affronta e si scontra su tematiche internazionali ed interessi globali dove il denaro ed il potere ne sono tesori nascosti, celati dietro fasulli e retorici temi e significati di democrazia.
Nessuno, nemmeno il cittadino iraniano più titubante e incredulo si sarebbe mai immaginato un colpo di scena di tale portata diplomatica. Fino a quella data, l’Iran e gli Usa sono stati stretti collaboratori in diverse occasioni che la Storia ha impresso nella memoria.
In piena guerra fredda, l’arsenale governativo americano stringeva le mani degli iraniani per far fronte ad un muro sovietico coalizzato con Egitto, Siria e Libano. Per tutto il divenire degli anni ’70 il fronte resterà tale fino a quando nel 1979 arrivò un terremoto umano, colui che fece tremare tutto il potere iraniano, guidato dallo scià Raza Pahlavi costretto all’esilio, il rivoluzionario Khomeini. Da questo momento in poi si cambia rotta e l’Iran assume le vesti dell’unico grande guru dello sciismo in tutto il Medioriente.
Scorrono i mesi, gli anni e dopo la guerra contro l’Iraq dal 1980 al 1988, Khomeini viene arginato, dopo di lui nessun altro mostrò la sua infinita e spasmodica determinazione nel fare dell’Iran il solo faro del mondo islamico.
Durante gli anni 2000, gli iraniani restano poco impressi nei ricordi delle potenze internazionali. E’ calma piatta a Teheran, si respira aria tranquilla, la stessa che prese il nome di “primavera riformista”. La fine della stagione floreale è avvenuta nel 2005 con l’inizio della politica intransigente di M. Ahmadinejad. Dietro il sipario, con cauta presenza, si muove la suprema guida spirituale nonché politica – Khamenei, è lui che stila su carta cosa pensa l’Iran, come deve agire l’Iran, chi amare ma soprattutto chi odiare.
Il sentimento di astio e rivalità è forte e marcato verso coloro che sono accusati di aver sostenuto Saddam Hussein nel periodo della guerra nel Medioriente, coloro che con la loro presenza militare nel Golfo Persico rifiutano l’Islam e maledicono l’Iran per la sua strategica posizione geopolitica e la ricca terra dalle mille risorse energetiche. Costoro sono gli americani e con quelle parole “asse del Male”, espresse il 29 gennaio 2002, il presidente George W. Bush non ha fatto altro che firmare il loro contratto di sfida perenne.
Da settimane la parola “dialogo” tra Iran e Stati Uniti d’America, è un ponte che in molti hanno voluto forzatamente costruire anche se di basi concrete, di mattoni e fondamenta salde e reali, se ne vede solo come miraggio.
L’indubbia telefonata tra il presidente Usa Barack Obama e il novello massimo rappresentante iraniano Hassan Rohani, ha avuto come oggetto di discussione un tema attuale con proiezioni future temute da tutti; l’arsenale nucleare di Teheran. Le voci dei due presidenti hanno accavallato le medesime parole: risolvere, superare, accordo, progressi. Le intenzioni ci sono tutte, si vuole scendere a patti con il nuovo governo del moderato (o per lo meno così si dice di lui) Rohani.
La potenza iraniana è indiscutibile nel cuore del Medioriente, dove la pecora nera Israele si stringe forte agli Usa per paura di un attacco improvviso e di veder Gerusalemme calpestata dagli sciiti venuti per liberare la città dagli eterni nemici israeliani.
Iran, Siria e Libano costituiscono ora un unione compatta in nome dello sciismo nel Mediterraneo. È sempre li la questione, la fede torna ad essere spada che minaccia e ferisce, eppure se oggi un ipotetico avvicinamento tra Iran ed Usa dovesse mai aver luogo, la questione siriana con i suoi oramai innumerevoli morti, potrebbe subire un esito diverso. L’Iran è l’unico alleato di Assad rimasto nell’area geografica circostante, ma ora con un Rohani che rivolge un volere collaborativo agli Usa – principale motivatore di un intervento in Siria – l’acqua potrebbe bollire di nuovo e ci si deve chiedere cosa succederà ai siriani, cosa accadrà ad Israele e soprattutto quali interessi ci sono dietro uno scambio di battute telefoniche che tanto e ansiosamente hanno fatto parlare la comunità internazionale.