Storie di donne morte ammazzate
Dodici storie di femminicidio in scena al Teatro Lo Spazio di Roma, per raccontare e denunciare le cifre allarmanti di una barbarie tutta italiana
di Isadora Casadonte
Sono più di 80 dall’inizio dell’anno le donne uccise in Italia per mano del proprio compagno, marito o ex: femminicidi da cronaca nera, le cui cifre non accennano a calare.
Storie di donne morte ammazzate, il progetto promosso dall’Associazione Punto D, mira a fare dell’arte un monito, per coinvolgere la cittadinanza nell’approfondimento di un fenomeno, la cui prevenzione passa attraverso la conoscenza.
L’iniziativa consiste in una maratona teatrale, che il Teatro Lo Spazio di Roma ha ospitato dal 7 al 13 ottobre, con l’obiettivo di “parlare agli uomini attraverso le donne”.
In scena dodici storie diverse, ambientante in altrettanti contesti sociali, culturali ed economici, ma accomunate da una fine tristemente nota.
I testi scritti da Betta Cianchini (a cura di Alessandro Machìa) sono monologhi di donna, frammenti di storie che colgono le loro protagoniste nel momento del loro approssimarsi alla morte.
La sera del 9 Ottobre il racconto è affidato a Sonia Barbadoro (con la partecipazione di Gabriele Guerra) in Odiavo i crisantemi, e a Giada Prandi in Angela e il cassettone della suocera.
Due monologhi che hanno trascinato il pubblico in un applauso sentito, che quasi non accennava a finire.
All’attrice Sonia Barbadoro spetta il compito di raccontare la drammatica morte di una madre. Lei, donna che porge mani sempre pronte ad accarezzare, lui, uomo dal carattere scuro che offre in cambio solo disprezzo. Ad essere ricostruita è l’esistenza di una madre dedicata ad un figlio avido, che arriva a sottrarle, dopo averla consumata, perfino la vita: ultima occasione di guadagno per i suoi affari loschi.
Dopo i colpi di pistola diretti verso il corpo che l’ha generato, il figlio tiranno chiude per un attimo i suoi occhi neri. La donna, rievocando il momento della propria morte, si appella a quelle palpebre abbassate, colpevoli di averle nascosto lo sguardo del proprio carnefice, in cui forse avrebbe potuto leggere “cosa prova un figlio, quando uccide la propria madre”.
La storia di Angela, dalle tinte forti ma trattate con un pizzico di ironia, è invece quella di una moglie vittima delle violenze del proprio compagno, ma vittima anche di se stessa: “la mia testa lo capiva che dovevo scappare, ma la mia carne, la mia carne mi avvicinava a lui. La verità era questa”.
Anni di cinghiate sulle parti meno esposte del corpo, di pizzichi profondi come morse quando in pubblico la donna diceva qualcosa di “sconveniente”, ma sempre rigorosamente “sotto al tavolo”, di nascosto dagli occhi di chi c’era intorno. L’aborto provocato dalle percosse dell’uomo pesa sul cuore come un macigno e spinge Angela ad un disperato tentativo di fuga. Ma la valigia preparata resterà sul tavolo. La donna potrà metaforicamente afferrarla, libera, solo dopo la sua morte.
Immagini emblematiche sono quelle evocate nelle due storie in relazione al periodo dell’infanzia. La cifra della violenza (psicologica e fisica) caratterizza il nucleo famigliare di entrambe le donne che si raccontano: elemento che rende manifesto il peso che il contesto di crescita ha ricoperto nel segnare le loro drammatiche sorti.
La protagonista di Odiavo i crisantemi ci appare profondamente segnata dal ricordo delle pantofole consumate della madre, creatura costantemente in affanno per soddisfare le esigenze del marito e dei figli maschi, ma sempre pronta a schiaffeggiare lei, bambina che non imparava in fretta il ruolo della casalinga.
Angela invece, ricorda con angoscia la figura prepotente di un padre violento e di una madre che si limitava a farle osservare: “se tuo padre ti mena, ci sarà un motivo, no?”.
Per combattere la violenza sulle donne con le armi della cultura, l’Associazione Punto D si impegna: “NON smetteremo di raccontare fino a quando ci saranno ancora casi di femminicidio”.