Mano armata vs mani nude: Putin sfida Greenpeace
Mare di Barents, acque artiche invase da piattaforme petrolifere trivellatrici del suolo, scenario perfetto per uno scontro tra potere ed ideali. Gli attivisti di Greenpeace attendono la loro liberazione dopo il blitz delle forze di sicurezza russe
di Martina Martelloni
Gazprom è forte, è immensamente potente nella sfera economica, politica ed industriale russa e non solo. Da anni, tantissimi anni, il mostro del petrolio che parla cirillico ha invaso le acque e le terre di Paesi e luoghi stranieri. Quando ci si avvale di così tanta capacità commerciale, decisionale e distruttiva è alquanto complesso poter gestire un potere così vasto che si intreccia con i vertici di governo nazionali ed internazionali. Si perde la ragione e la morale e ci si ritrova in un mare inquinato dove l’unica ancora di salvataggio è l’innominabile denaro con tutti gli interessi al seguito.
Quello che è accaduto all’imbarcazione Artic Sunrise lo scorso 19 settembre disegna alla perfezione la realtà russa degli ultimi anni. Il presidente Putin mostra al dito una fede nuziale con il colosso Gazprom, e questo non ammette disobbedienze e ne tanto meno discordanze. Eppure quei 30 giovani e sognatori attivisti di Greenpeace volevano solo appendere un manifesto sulla parte inferiore dei pilastri della piattaforma petrolifera russa che ha impiantato i suoi artigli nell’Artico, mare gelato a rischio di morte. La situazione ecologica è drammatica, si misura giorno per giorno un assottigliamento dello strato di ghiaccio con velocità innaturale, a questo segue poi la disfatta dell’intero ecosistema vivente e Greenpeace non può tollerare un ingerenza incosciente di questo tipo.
I telefoni, però, ci mettono poco a squillare. Ed ecco che divise di stato russe sono intervenute contro quello che è stato definito un tentativo pericoloso e dannoso per l’attività svolta sulla piattaforma. Come due soli uomini – alle prese con un improvvisato tentativo di scalare la piattaforma Prirazlomnoe – possano compromettere i lavori di una struttura grande quanto un edificio, è ancora tutto da capire. Fatto sta che ad oggi le accuse contro questi ragazzi provenienti da tutte le parti del mondo, restano ancora ferme e decise come confermato dal tribunale regionale di Murmansk. La gente ha urlato, manifestato, scendendo in piazza per chiedere la liberazione di chi voleva solo far sventolare la bandiera della difesa dell’ambiente contro fini di lucro inconcepibili e loschi in un’area ostile all’uomo come quella dell’Artico.
La voce dei disobbedienti si è fatta viva e pulsante, echeggiando in ogni parte del pianeta. Sono state raccolte quasi 1 milione e 400 mila firme per chiedere al governo di Putin la scarcerazione degli attivisti. Tra questi c’è anche Cristian D’Alessandro, un 31enne ostinatamente idealista che proprio per questo si è sentito imputare due mesi di prigionia insieme all’americano collega Pete Willcox. L’opinione pubblica non approva il polso duro della Russia; una storia, questa, che è stata raccontata e rivisitata più volte con il fine ultimo di farci osservare gli attivisti come una sorta di pirati dei mari.
Ulteriore tentativo di dialogo è stato avviato dal direttore esecutivo di Greenpeace International: Kumi Naidoo ha intenzione di parlare con il presidente Putin per farsi portavoce del messaggio universale della ONG e di come non sia ammissibile che vengano chiuse delle manette su polsi di chi lotta pacificamente per la cura e la protezione dell’ambiente, scontrandosi a muso duro con chi invece rema contro e ostacola la loro attività “salva Terra”.
La posizione del russo è complessa:
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/topnews/2013/09/25/Putin-Greenpeace-sono-pirati_9356382.html
Le sue simpatie per gli attivisti sono note da anni, e non le nasconde. E’ stato probabilmente il primo politico russo di spicco a porre qualche questione in tema di ambiente. D’altro canto non è proponibile per lui mettersi a litigare con il moloch energetico di casa: impossibile inimicarsi quei signori, non si può fare.
Sospetto che lasceranno correre i processi, e poi rilasceranno i prigionieri quando il clamore mediatico sarà calato: fin quando c’è rumore ed attenzione, niente da fare. Restano dove sono.
Questa cosa fa un po il paio con le feroci proteste di piazza contro il tubo Keystone XL, Usa; arresti a bizzeffe e condanne. Triste solfa tutta uguale.