Sperando che ogni naufragio sia l’ultimo
Tra presunti scoop e lampanti ipocrisie, Lampedusa continua a essere teatro di massacri. L’emergenza continua, fronteggiata da provvedimenti intempestivi, autoritari e la maggior parte delle volte controproducenti
di Guglielmo Sano
“Lampedusa non è sola”, di fronte all’ennesima ondata di “clandestini”, nel 2011 così aveva cercato di tranquillizzare la popolazione isolana il capo del governo Silvio Berlusconi. Come lui anche altri membri della classe politica, nel corso degli anni, hanno ripetuto queste parole come se fossero un mantra.
“Lampedusa non è sola” ma non è neanche, o soltanto, un’ “isola”: sempre più diventa esempio, lente d’ingrandimento, paradigma delle contraddizioni, dei problemi, delle inefficienze sia del “Sistema Italia” sia della “Fortress Europe”.
Dal 1988 a oggi i morti ai confini della “fortezza” Europa sono 19.372: nel 2013 abbiamo già superato quota 600. Nel canale di Sicilia, dal 1994 in poi sono morte almeno 7085 persone: lungo le rotte che dalla Libia, dalla Tunisia e dall’Egitto vanno verso Lampedusa – ma anche verso Pantelleria, la costa meridionale della Sicilia e Malta.
L’annus terribilis, al momento, è stato il 2011: più di 1800 vittime (150 ogni mese, 5 al giorno), senza contare i “naufragi fantasma”, quelli di cui non verremo mai a sapere. Un migrante su 17 non sopravviveva al tragitto che partiva dalla Libia. Non è stato solo il maltempo a causare questo vero e proprio massacro.
Pesa sul conto delle vittime l’evidente “sovraccarico” delle “carrette” del mare. In particolare, nel 2011, erano in molti coloro che scappavano dall’offensiva di Gheddafi. Il raìs, una volta attaccato, ordinò persino dei rastrellamenti nei quartieri di Tripoli e obbligò anche vecchi, donne, bambini a imbarcarsi verso l’Italia. Spesso a pilotare la nave era uno qualsiasi dei “passeggeri”. “Il biglietto lo pagava il regime” che, in questo modo, tentava di rispondere all’attacco: minacciando l’Europa con un’invasione.
Nel 2012 gli “sbarchi” hanno rallentato il loro corso, addirittura, il “centro di accoglienza” di Lampedusa rimase chiuso: “colpevoli” la crisi dell’Euro e la mancanza di organizzazione delle bande criminali che si occupavano del traporto clandestino di esseri umani. Il 2013 ha invece riproposto uno scenario già noto: 30.000 profughi sono approdati sulle coste del Sud Italia nei primi 9 mesi dell’anno.
Dopo la guerra in Libia i gruppi criminali dediti allo smuggling (traffico di esseri umani illegale ma consensuale e retribuito come servizio) – che Gheddafi aveva contrastato dopo aver incassato la fine dell’embargo, la riabilitazione della propria immagine e nuovi investimenti nel paese – si sono riorganizzati e hanno sfruttato come meglio non si poteva la richiesta di mobilità dei siriani in fuga da una guerra civile che dura ormai da 3 anni.
La politica italiana si confronta con questa situazione da, almeno, vent’anni, ma l’immigrazione e il contrasto al traffico di esseri umani è ancora considerato come un evento “straordinario” che esige misure “eccezionali”. Dove ci sarebbe bisogno di riforme strutturali e cooperazione con l’Europa, il nostro paese ha saputo rispondere con i “respingimenti” e la legge “Bossi-Fini”.
Il premier Letta ha da poco dichiarato che la legge del 2002 sull’immigrazione clandestina andrebbe cambiata ma “non c’è tempo”. Nel frattempo ci teniamo un provvedimento che, tra le altre cose, punisce chi aiuta i “barconi” ad attraccare sulle coste: il “favoreggiatore dell’immigrazione clandestina” rischia tre anni di reclusione e una multa fino 15mila euro per ogni persona “favorita”.
Poi ci si stupisce se i pescherecci fanno finta di niente quando incrociano un battello in avaria e lascia che i passeggeri anneghino: anche se molti pescatori, per esempio quelli di Mazara del Vallo (Trapani), rischiano la propria pelle per dare una mano in mare a chi si trova in difficoltà – molti giudici li assolvono, infatti, perché il soccorso non è reato.
Il governo Letta ha voluto comunque rispondere alla rinnovata “emergenza” immigrazione: da pochi giorni è scattata l’operazione “Mare Nostrum”. Fregate, motovedette, navi anfibie, elicotteri con visore notturno addirittura dei droni modello “Predator” sono al momento impiegati nel “canale di Sicilia”: il tutto per pattugliare il “nostro” mar Mediterraneo.
Forse sarebbe stato più utile un “corridoio umanitario” o, altrimenti, l’attivazione di un canale diplomatico preferenziale che permettesse a profughi e “richiedenti asilo” di fare domanda di ingresso nell’Ue già dal paese d’origine: secondo l’ultimo rapporto del Viminale il 73%, di quelli che hanno tentato di espugnare la “fortezza” nel 2013, avrebbe diritto alla protezione.
Si è scelto di investire ancora una volta nell’industria bellica e di affrontare il tutto con una “missione” più militare che “umanitaria”. Nel migliore dei casi “mare nostrum” non sarà altro che l’ennesimo spot pubblicitario in diretta dal palcoscenico di Lampedusa.