Festival Internazionale del Giornalismo: quale futuro?
Il 17 ottobre Arianna Ciccone e Chris Potter annunciano che nel 2014 il Festival Internazionale del Giornalismo non si farà a causa dell’assenza delle giuste condizioni economiche. Ieri i due fondatori del festival hanno comunicato che si tenterà la carta del crowdfunding
di Raffaele Meo e Graziano Rossi
Ieri, 21 ottobre 2013, è partita una nuova avventura per il Festival Internazionale del Giornalismo, quella del crowdfunding. Lo hanno annunciato Arianna Ciccone e Chris Potter, fondatori di uno degli eventi giornalistici più importanti d’Italia, durante l’incontro pubblico organizzato a Perugia per parlare del perché l’edizione 2014 dell’IJF, la numero 8, potrebbe non esserci.
Il Festival Internazionale del Giornalismo, che noi di Ghigliottina seguiamo ormai da qualche anno, con inviati sparsi qua e là per i dibattiti e i workshop, è nato nel 2006 con un obiettivo, quello di parlare di giornalismo, libertà di stampa, informazione (leggi la pagina “Chi siamo” sul sito dell’IFJ per saperne di più), con i media, attraverso i media, per i media.
Persone di tutto il mondo arrivano a Perugia ogni primavera, dai giornalisti della carta stampata a quelli dei media online, dagli studenti aspiranti giornalisti ai professionisti della comunicazione ma anche solo curiosi, tutti nella città umbra per avere scambi di idee o semplicemente conoscersi.
La settima edizione del festival ha registrato cifre elevate, con oltre 450 relatori, almeno 1.500 giornalisti accreditati, 200 eventi di cui la metà con la traduzione simultanea, 200 volontari da tutto il mondo e una città, Perugia, per 5 giorni al centro del mondo giornalistico. Senza parlare di internet, dei social network, che quelle cifre le fanno crescere ancora di più.
Arriviamo a quest’anno. Poco meno di una settimana fa arriva l’annuncio: l’IJF 2014 non si farà, perché mancano le condizioni, soprattutto economiche. Nel post pubblicato giovedì scorso sul sito del festival Arianna spiega che “i budget modesti di questi anni non sono più sostenibili. Fare il Festival a ogni costo pur di farlo, magari riducendo ospiti e giornate non è accettabile. O si va avanti migliorando o ci si ferma”.
Ecco che allora, nell’incontro all’Hotel Brufani, una delle sedi storiche del festival, esce fuori la proposta del crowdfunding: “Abbiamo avuto tantissime reazioni da parte dei cittadini – spiega Arianna Ciccone –, ci chiedevano di non chiudere la manifestazione. E molti hanno detto che sarebbero stati disposti a sostenerla. Questa stessa reazione l’abbiamo avuta dal mondo del giornalismo internazionale. Molti grandi nomi sono scesi in campo pubblicamente, chiedendoci di non fermare il festival. E dicendo che ci avrebbero dato anche un sostegno economico personale e diretto per aiutare la manifestazione. Questa reazione non ci ha lasciato indifferenti”.
La questione, purtroppo, è tutt’altro che semplice: quei finanziamenti pubblici arrivati puntualmente ogni anno dal 2006 dagli assessorati alla Cultura di Regione Umbria e Comune di Perugia, quando siamo quasi alla fine di ottobre, non sono ancora arrivati. Nonostante le promesse dell’assessore alla Cultura della Regione Umbria, Fabrizio Felice Bracco, di portare in giunta una richiesta di fondi pari a 100.000/120.000 euro, le polemiche non si placano. Sotto accusa tutti i vari eventi culturali finanziati da regione e comune, dall’Umbria Jazz al Teatro stabile dell’Umbria. Una sorta di guerra fra poveri, con un’insolita veemenza che sembra urlare “il mio evento è più importante del tuo”.
Ciò che lascia abbastanza turbati in questa diatriba tutta politica, sono le cifre. Se da un lato (dal Palazzo) si parla di finanziamenti di quasi un milione di euro in 7 anni, oltre che la disponibilità della città intera, dall’altro si accusa di aver sempre fornito fondi scarsi e malamente disponibili.
Dalle parole della Ciccone si evince un certo fastidio per il laborioso processo che necessita lo sdoganamento di quei fondi sì scarsi, ma parimenti indispensabili. Del resto non è difficile intuire quanto le lunghe beghe e i continui tira e molla possano influire sull’esito generale di una manifestazione così importante. D’altro canto va considerata l’oggettiva difficoltà delle istituzioni a reperire fondi, data la congiuntura economica e i recenti e sostanziosi tagli che l’assessorato alla cultura ha dovuto affrontare. Ricordiamo che l’Umbria sta cercando di ottenere il titolo di Capitale della Cultura (leggi qui il nostro articolo) appunto per rifocillare le casse della regione col fine di finanziare proprio questo tipo di eventi.
Contestualizzando la situazione, dunque, si evince che è ben altro che semplice dividere i “buoni” dai “cattivi”. La scelta del crowdfunding può essere una soluzione valida, del resto la stessa Ciccone ha sempre orgogliosamente dimostrato che più del 75% dei 400.000 euro necessari sono sempre provenuti da sponsor privati. Certo, è giusto considerare anche l’aspetto morale della questione, dove parliamo di un evento di grande eco internazionale che di sicuro porta con sé una pubblicità non indifferente per la città e la regione. Corretto quindi aspettarsi dei finanziamenti pubblici, che non potrebbero essere meglio spesi, ma che fare quando questi fondi non ci sono, perché effettivamente non ci sono?
Di sicuro non è moralmente accettabile puntare il dito contro altri eventi, parimenti dignitari dell’attenzione e del finanziamento pubblico. E se questa fosse anche una bella occasione per una verifica del festival stesso? Giusto impedire che avvenga una caduta di livello nella manifestazione ma, dati i tempi, rivolgere il proprio interesse proprio a quell’ambiente low cost di cui il giornalismo si sta arricchendo sempre più? Chi è stato al festival sa quanto si è parlato del giornalismo precario, della situazione italiana, delle nuove realtà, del web, ma si sa anche che tutti gli ospiti dei panel alloggiavano in alberghi lusso e che tra una conferenza e l’altra si dilettavano fra saune, piscine e bagni termali, mentre i semplici accreditati “senza portafoglio” dovevano combattere in stanze anguste, senza connessione wi-fi e sempre percependo il dislivello con i più fortunati delle scuole di giornalismo.
Ecco, questa sembra proprio l’occasione ideale per realizzare la situazione attuale del giornalismo: non ci sono i fondi, ma il diritto di informare, la passione per una professione e la determinazione permettono a tanti giovani di buttare il cuore oltre l’ostacolo, con sacrifici e impegno, senza gli orpelli e i marmi del lusso anacronistico riservato ai nostri predecessori di cinquanta anni fa. Fare giornalismo oggi è anche questo e pare quasi un parallelismo perfetto che il festival che rappresenta la nostra professione risenta parimenti delle stesse difficoltà, senza per questo necessariamente cadere di livello.