Disgelo Usa: lo shutdown è sciolto
Giorni e ore trascorse ad attendere una stretta di mano, un accordo, un’intesa tra i due poli della politica statunitense. Il temuto shutdown dell’economia reale è stato superato con un compromesso che ancora aleggia sulla testa degli americani
di Martina Martelloni
A sentirne parlare, sembra si tratti dell’ultimo titolo di un film d’azione stile americano, con colpi d’arma da fuoco e fughe notturne tra i tetti dei palazzi newyorkesi. Lo “Shutdown” entra nelle case degli americani e fa temere il peggio che l’economia attuale dell’American Dream possa attendersi: il blocco della spesa di governo. Ebbene, ogni qual volta riecheggia questo tagliente nome, in realtà, non si parla altro che di soldi e di fibrillazione per un governo Obama alla ricerca perenne e stancante di un appoggio da parte dell’ala repubblicana di Senato e Camera.
In termini letterali, lo shutdown non è altro che il congelamento della capacità di spesa del governo, il quale sarebbe inerme nel poter spendere e spandere denaro per servizi non essenziali. Le voci forti della politica firmata Usa, hanno atteso un po’ troppo tempo nel riuscire ad accordarsi sull’approvazione della nuova legge finanziaria che stabilisce quanti dollari potranno uscire dalle tasche del governo da qui al prossimo anno alle porte.
L’altalena nauseante, che ha dondolato il Congresso nei giorni scorsi, è storia già vista, ascoltata e raccontata. Nel 2011 accadde la stessa cosa: uno stallo politico tra repubblicani e democratici congelò le bocche sulla decisione economica da stilare su carta. Il voltarsi le spalle politico ha causato il fenomeno della chiusura dei servizi per ben 16 giorni, al caro prezzo di 24 miliardi di dollari – come riportano le stime della Standard & Poor.
Scampato pericolo, dunque: l’accordo siglato prevede il finanziamento del governo fino al 15 gennaio, a questo segue l’innalzamento del tetto del debito fino al 7 febbraio e si cuce il tutto con la creazione di una commissione bipartisan avente voce ultima per i tagli al bilancio.
Se il temuto baratro del default sembra essere saltato, ci si chiede ancora quando e con quanta enfasi il Congresso riuscirà a trovare un definito accordo sul debito pubblico, o meglio su ciò che fa da copertone d’acciaio, una sorta di ombrello ultraresistente e impermeabile a qualsiasi svuotamento delle casse. Il tetto del debito pubblico è un’istituzione tutta americana e consente al Congresso di porre un vincolo alla capacità di emettere debito – e per debito in questo caso si intende titoli di Stato emessi dal Tesoro per finanziare spese federali.
Oltre i numeri, ci sono le facce, quelle di quanti tra repubblicani e democratici faticano ancora a trovare intese in tema di riforme economiche. Per i cittadini americani i pugni di ferro sono stati sferrati dalle tuniche dei conservatori, accusati di aver eccessivamente ostentato un’intransigenza ingiustificata che ha maturato lo shutdown tanto temuto. La percentuale parla chiaro, due persone su tre, ben il 53%, hanno espresso dissapore rispetto a quanto accaduto ed accusa i repubblicani come principali indiziati. Il presidente Obama non tira respiro di sollievo, anche su di lui si sono scagliati i suoi elettori, il 29% lo crede responsabile dello shutdown mentre solo un 15% si mostra equilibrato e parla di colpe reciproche.
Sullo sfondo ci cela dell’altro, si disegna in bianco e nero la tanto contestata Obamacare, la riforma sanitaria che ancora oggi il partito Repubblicano stenta a considerare successo dell’era Obama. Vogliono indebolirla, renderla inefficace ma resta alta la determinazione di un Partito Democratico che crede fermamente nei valori e nelle innovazioni apportate dalla riforma in vigore e non sarà questa vittima carnefice dell’azione repubblicana.