L’Unione Europea è pronta alla “Schengen sanitaria”
Il progetto è di abbattere le frontiere e rendere libera la circolazione dei pazienti sul territorio europeo, ma alcuni paesi non sono pronti. La ricezione della direttiva della UE sulle cure transfrontaliere era prevista per il 25 ottobre, ma per l’Italia è stata rinviata al prossimo 4 dicembre
di Guglielmo Sano
La direttiva europea 2011/24 è entrata in vigore il 25 Ottobre: dovrebbe permettere ai cittadini comunitari di scegliere in che Stato curarsi. Infatti, quella che è stata definita come la “Schengen della Salute”, ha come obiettivo la facilitazione della mobilità per gli “individui-pazienti” dell’Unione, all’interno degli Stati membri.
In ambito europeo si punta a omogeneizzare le procedure e rendere più semplice la richiesta di servizi sanitari in un paese della Comunità Europea differente da quello di provenienza. Inoltre non si predispone solo il rimborso per prescrizioni e cure richieste ed erogate in un paese diverso da quello di provenienza, ma anche il rimborso di prescrizioni e cure richieste nello Stato d’appartenenza ed erogate in uno Stato diverso da quest’ultimo.
Nella direttiva sono indicate con particolare attenzione le condizioni alle quali, le strutture sanitarie dei paesi dell’Unione, dovranno attenersi nel fornire ai pazienti: informazioni idonee riguardo all’erogazione dei propri servizi, informazioni riguardo a disponibilità, qualità e sicurezza dei servizi stessi, trasparente fatturazione e chiara informazione sui prezzi, sull’autorizzazione rilasciata alla struttura e rispetto della privacy oltre all’obbligo di rilasciare il referto a prestazione erogata.
Nel testo è reso esplicito il “principio di non discriminazione per l’accesso alle cure”: le condizioni, le modalità e i prezzi della prestazione, fornite a un paziente di un altro Stato, devono essere uguali a quelli che si praticherebbero a un paziente “originario” del territorio nel quale la prestazione stessa viene erogata. In ognuno dei paesi dell’UE è prevista anche l’istituzione di un “National Contact Point” che faciliti l’orientamento, che fornisca assistenza a ogni cittadino e che medi in eventuali controversie e contenziosi che potrebbero sorgere.
Queste le linee generali di un progetto che tende a ridurre l’eccessiva frammentazione dell’accesso alle cure prevista nei vari paesi membri della Comunità Europea. Si cerca anche di abbattere la barriera d’iniquità che divide i cittadini dei vari Stati ampliando l’offerta sanitaria a tutto il territorio dell’Unione e nello stesso tempo attivando “punti di contatto” che permetteranno di informarsi sulle possibilità offerte dalla cooperazione in ambito sanitario.
Introdurre un’innovazione medica in uno qualsiasi dei paesi dell’UE significherà metterla a disposizione di tutti i cittadini dell’Europa Unita. Quando la “Schengen sanitaria” diventerà reale? In Italia si prevede che l’emanazione del decreto che la renderà operativa avverrà il 4 Dicembre: sono già stati stanziati ad hoc 121 milioni di Euro per il 2014, nell’ambito della “Legge di Stabilità”.
Il Punto di Contatto nazionale è già stato attivato presso il Ministero della Salute ma neanche questo è stato reso operativo. Ancora non sono state coinvolte le associazioni di pazienti e cittadini e non sono stati indicati i centri di eccellenza del nostro paese.
Non resta indietro solo l’Italia, questa volta. A parte la Germania, che non attuerà una nuova legge, perché la maggior parte delle indicazioni della direttiva sono già presenti nelle sue norme, la discussione sul recepimento è ancora in corso in buona parte degli Stati comunitari, tra gli altri: Austria, Francia, Norvegia, Estonia, Malta e Croazia. Le prime quattro hanno già effettuato le consultazioni pubbliche. L’unico punto di contatto nazionale attivo è al momento quello della Lettonia, ma fornisce poche e lacunose informazioni.
Il Governo ha comunque annunciato che porterà a termine l’iter per l’attuazione del decreto entro l’anno. Sarà una sfida per il nostro SSN: i paesi all’avanguardia attireranno molti pazienti, che poi dovranno essere rimborsati come se si fossero curati in Italia (per esempio una spirometria in Francia costa 120 euro, in Italia 100: al paziente italiano che si sottopone a tale esame in Francia verranno restituiti 100 euro e non 120), per questo il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha chiesto al ministro per la Coesione Territoriale Carlo Trigilia “2 miliardi dai fondi strutturali per rendere gli ospedali più tecnologici”, investimento che potrebbe rappresentare – aggiunge la Lorenzin – “un volano per l’economia delle regioni del Sud”.
La direttiva avrebbe anche l’effetto di sveltire la proverbialmente “lenta” burocrazia ospedaliera italiana in materia di cure all’estero: il Tribunale dei Diritti del Malato ha riscontrato che, su 279 casi di pazienti che si erano rivolti al TDM nel 2012, il 27% non aveva ricevuto chiare informazioni e si era scontrato con la problematica burocrazia delle ASL di cui sopra.
Alla fine emerge anche qualche dubbio però, come sottolinea Tonino Aceti di Cittadinanza Attiva-Tribunale per i Diritti del Malato: “I problemi che possono derivare dalla implementazione della Direttiva sono di due ordini. In primo luogo, rischi di natura economica per il cittadino: veniamo da un sistema di rimborso che, almeno sulla carta, dà assistenza diretta a tutti quelli che scelgono di andare all’estero per curarsi e alcune regioni coprono tutte le spese; con la direttiva invece, si rischia un rimborso solo dopo aver sostenuto la prestazione e, inoltre, lo stesso potrebbe essere parziale, cioè senza spese di soggiorno e con eventuali possibili differenze tra costo della prestazione nel Paese di residenza e costo nello Stato “curante”, differenza che peserebbe sulle tasche dei cittadini. In pratica il timore è che il decreto attuativo trasformi la direttiva sulle cure transfrontaliere in un affare per ricchi.
Aceti poi continua dicendo che: “In secondo luogo, rischi a carico degli Stati: da una parte per i verosimili aumenti del contenzioso derivanti dall’applicazione dell’assistenza indiretta, dall’altra per ricoveri inappropriati determinati dal fatto che i cittadini, soprattutto quelli affetti da malattie croniche e rare, potrebbero scegliere i paesi all’avanguardia nella prescrizione di farmaci innovativi di cui, secondo la nuova direttiva, potrebbero usufruire in ambito ospedaliero e ambulatoriale. In entrambi i casi, l’Italia è un paese a rischio: perché il cittadino potrebbe subire anche a livello europeo le storture del nostro federalismo regionale e perché, in riferimento al mercato dei farmaci, sappiamo che nel nostro Paese trascorrono due anni in media dall’approvazione di un nuovo farmaco da parte dell’Ema alla sua effettiva disponibilità per i pazienti italiani”.
Anche molte organizzazioni europee temono un’eccessiva discrezionalità da parte degli Stati nell’attuazione della direttiva, anche perché i numerosi tagli alla Sanità, che colpiscono tutta Europa, potrebbero rendere irricevibili alcuni principi della stessa: i cittadini dovrebbero anticipare l’intero costo delle cure e sarebbero quasi totalmente soli nel processo di orientamento. Inoltre nei paesi più poveri è prevedibile che “aprire le frontiere” possa costituire motivo di disagi e attese per i residenti.
A Bruxelles non temono, invece, che la direttiva possa provocare un aumento del “turismo sanitario”. Tuttavia qualche precauzione è stata presa: un’autorizzazione preventiva nel caso di ricoveri in ospedali o strutture altamente specializzate e costose o in casi gravi correlati alla qualità delle cure e alla loro pratiche in condizioni di sicurezza.