Quando l’Oriente richiama Istanbul alle origini
La Turchia di Erdogan continua silenziosamente a ritagliarsi il suo spazio in un area geopolitica complessa ma promettente e proficua. Si guarda ad Oriente, si comprano armi dalla Cina e ci si connette con l’Asia facendo affari con il Giappone. Istanbul avanza
di Martina Martelloni
Chi si è detto stupito o perplesso delle ultime decisioni ed azioni politico-economiche della Turchia, dovrà riesaminare le considerazioni fin ad ora espresse e riflettute su di un popolo combattente nella storia, fiero nella tradizione e lungimirante nel progresso.
Il presidente Erdogan conosce l’Asia, sa bene quanto vale la sua terra e le sue primizie energetiche e soprattutto quanto sia forte il dragone cinese nell’ultimo decennio vissuto. Così, con stupore delle Nazioni Unite, Ankara annuncia la firma di un accordo strategico per l’acquisto di missili a lungo raggio con la società cinese Cpmiec (China Precision Machinery Import and Export Corp).
Il patto ha ad oggetto un sistema di difesa anti-missile FD-2000, ed è il prodotto ultimo figlio di una compagnia dagli occhi orientali che dallo scorso febbraio è soggetta a sanzioni statunitensi per aver violato gli embarghi contro Iran e Corea del Nord.
L’attrazione fatale turca verso la grande muraglia, spinge a tal punto da ignorare questo piccolo dettaglio diplomatico e si predilige scegliere l’opzione migliore, o per lo meno la più vantaggiosa. Di questo ne è certo il ministro della Difesa Ismet Ylmaz che difende l’accordo appellandosi a motivazioni economiche: “I cinesi ci offrono il miglior prezzo: 3,4 miliardi di dollari”, cifra che sbatte la testa contro quei 4 miliardi richiesti dai competitori Russia, Stati Uniti ed alcuni paesi europei.
Cresce subdolamente la potenza turca e lo fa accecando i paesi Nato – sempre più autonoma e matura, questa Turchia avanza gradualmente. I suoi passi non sono solo diplomatici e militari, ma anche infrastrutturali.
Per cantar e gioire a suon di festa per i 90 anni dalla fondazione della Repubblica, il Bosforo diviene cordone ombelicale tra Europa ed Asia. Il primo treno è partito, un viaggio breve ma intenso di soli 4 minuti che collegherà la zona europea di Istanbul con la parte asiatica. Un tunnel dalla lunghezza di 13,6 km, che sprofonderà nelle acque del Bosforo fino a toccare i 60 metri sotto le acque del mare.
Marmaray, questo è il suo nome e da oggi vedrà la Turchia distendere le sue radici colloquiali e provare a parlare le tante lingue del continente asiatico. Il progetto infatti è stato finanziato principalmente dalla Banca giapponese per la cooperazione internazionale, un aiuto, il suo, dal peso d’oro di 735 milioni di dollari.
Progresso dunque, corsa costante verso il futuro e verso lo sviluppo strategico. E’ in questi momenti, però, che non ci si deve dimenticare del ruolo che la Turchia svolge rispetto alla perenne guerra distruttrice interna alla Siria.
Il paese è direttamente coinvolto nella crisi siriana non solo per l’alto numero di profughi che marciano verso la regione di frontiera, ma anche per l’appoggio che offre ai miliziani contrari al regime Assad. Le armi sono di difesa ma anche e soprattutto di attacco, il timore turco è che ci sia una minaccia dettata dal regime siriano contro la vecchia Costantinopoli, ed ecco che Stati Uniti, Germania e Paesi Bassi mostrano la loro più alta solidarietà inviando due batterie di missili Patriot con al seguito 400 soldati sul confine sud-orientale della Turchia.
Nonostante questo si è scelta la mano venditrice cinese. Chiunque sia il compratore e dall’altra parte il suo venditore di fiducia, si tratta pur sempre di armi e la cosa non promette mai nulla di buono per nessuno al mondo.