Tennis: i voti ai Fantastici 4 del 2013. Ecco perché Djokovic è il Maestro ma Nadal merita il numero 1
Le Finals londinesi e l’atto conclusivo della Coppa Davis hanno ufficialmente chiuso la stagione 2013 per l’élite maschile della racchetta. I nostri giudizi sui migliori attori protagonisti dell’annata appena conclusa, dominata dalle due star degne di “Una poltrona per due”
di Paolo Pappagallo
su Twitter @paul_parrot
Un’insalatiera come dessert appena prima del conto: strano il menù di fine stagione al “ristorante” del tennis, nella sala rigorosamente riservata ai gourmet della specialità. Degustazioni riservatissime su invito – nella cornice da Swinging London della O2 Arena da una parte e nell’infuocata bolgia, pervasa di orgoglio balcanico, della Belgrado Arena dall’altra – per decretare l’assegnazione degli ultimi diplomi da “Masterchef” di volèe e top spin prima dell’arrivederci a Capodanno agli antipodi, sul veloce di Brisbane, per l’inizio della stagione 2014.
Un trionfo di sapori, da numero uno della creatività in cucina – pardon in campo – per il Maestro Novak Djokovic, incoronato nel suo status “single” dalle Finals di Londra tra i migliori 8 della Race stagionale, anche se poi scippato con la sua Serbia della nota insalatiera per mano della Repubblica Ceca di Berdych e Stepanek, nella finale di Coppa Davis disputatasi peraltro in terra balcanica. Va detto che Nole ha fatto il suo fino in fondo anche con la propria rappresentativa nazionale, conquistando 2 punti in altrettanti singolari, che però non sono bastati alla truppa di capitan Obradovic per riportare il trofeo a Belgrado tre anni dopo l’ultimo alloro.
In ogni caso, ora che la campanella è suonata davvero per tutti, è tempo delle inevitabili valutazioni di fine anno, che dedichiamo in particolare ai Fab Four, i Fantastici Quattro, della classifica mondiale maschile. Nel voto finale pesa inevitabilmente come discriminante ultima la prestazione fornita nell’ultimo atto di Londra, con una nota a margine da tener ben presente: tra il titolo di Maestro ottenuto da Djokovic e la prima posizione mondiale ad appannaggio di Nadal non vi è alcuna apparente contraddizione in termini, ma una diversa chiave di lettura nel ruolo di “tennisti alfa” che entrambi, con caratteristiche diverse, esercitano sul circuito e a livello mondiale.
Rafael Nadal
Per capire meglio la portata della straordinaria parabola stagionale del mancino di Manacor, chiudete un momento gli occhi e ripensate a dov’eravate, in questo preciso istante, un anno fa. Il 18 novembre 2012, una domenica, Rafa poteva trovarsi dovunque nel globo terracqueo, tranne su un campo da tennis. Piuttosto e più probabilmente in qualche luogo dedicato alla terapia e alla riabilitazione sportiva. Colpa della Sindrome di Hoffa – la rottura parziale del tendine rotuleo unita ad una contemporanea infiammazione dei tessuti – del ginocchio sinistro, con annesse profonde preoccupazioni legate ai lunghissimi tempi di recupero e alla prospettiva di poter tornare – forse sì, forse no – uno dei “cannibali” del circuito degli ultimi anni. E passiamo così ad un’altra data, il 5 febbraio 2013, giorno del rientro di Nadal nel circuito, grazie ad una wild card, nell’ATP 250 di Viña del Mar. Dal “piccolo” torneo in terra cilena, culminato con la finale, seppur persa, contro l’argentino Zeballos, il ritorno del maiorchino è andato delineandosi torneo dopo torneo con i contorni dell’impresa da araba fenice, suggellato da una doppietta Roland Garros-US Open dai contorni financo commoventi. L’Inghilterra, probabilmente, rimane terra di brutti pensieri, vista la sconfitta nel secondo turno di Wimbledon contro il carneade belga Darcis e la finale persa nel Master di fine stagione contro Djokovic – peraltro unica casella ancora da spuntare nello straordinario palmares dello spagnolo. Ma ciò non toglie che la prima posizione ritrovata nel ranking mondiale sia quanto più esemplificativa possibile del carattere e della qualità inimitabile dello statuario Rafa: HIGHLANDER. Voto: 9,5
Novak Djokovic
Chi pensa che il dio del tennis, già a Londra, si sia preso un corposo anticipo sulle ferie, regalando una sorta di immeritato contentino finale a Nole dopo una stagione permeata dalle tinte rossofuoco ispaniche di Nadal, probabilmente non ha compreso quanto solo la dimensione “fantascientifica” dello spagnolo impedisca attualmente al serbo di essere il Top One a tutto tondo del panorama della racchetta mondiale. Ma Djoko è un maestro, anzi IL Maestro dopo le Finals, nel vero senso della parola: campione assoluto nella continuità di rendimento – semifinalista o finalista nell’80% dei tornei disputati quest’anno –, insuperabile sul veloce -Australian Open e Finals docet -, spietatamente prodigioso nelle rimonte, fisicamente scintillante e, perché no, ferale anche nel computo dei guadagni stagionali. Insomma, per usare un termine in voga in ambito ecclesiastico negli ultimi tempi, il serbo meriterebbe la qualifica di “Numero 1 Mondiale emerito”, in un certo senso indirettamente attribuitagli dall’alloro londinese di fine stagione, guarda caso grazie al successo in finale contro Nadal. Archiviata anche la sfortunate finale di Davis, Djokovic chiude il 2013 con un record di 24 vittorie consecutive da irrobustire già con gli albori della prossima stagione. KILLER. Voto 9,5
David Ferrer
Per trovare uno come il 31enne di Jàvea, località cool della Costa Blanca valenciana, dobbiamo arrivare a scomodare perfino la storia del novecento europeo, l’Unione Sovietica e le miniere di carbone della regione di Donbass, nel bacino di Donec. Se Aleksej Grigorjevic Stakanov, anziché la pala da minatore, avesse avuto in dote una racchetta da tennis, forse si sarebbe chiamato David Ferreronov. O magari il contrario, chi può dirlo. Fatto sta che il numero 3 della classifica mondiale vince a mani basse il premio 2013 per l’onnipresenza, l’infaticabilità e, più semplicemente, per il maggior numero di tornei disputato in stagione da uno dei primi trenta giocatori della classifica mondiale. Il che ci può ricondurre a due possibili interpretazioni: la prima, più maliziosa, ci spinge a pensare che lo spagnolo abbia cercato di “cavare il sangue dalle rape” raggranellando più punti possibili nei tornei a minor densità di Top 10, tenendo in particolar modo a distanza le bestie nere Djokovic e Nadal. La seconda, invece, può suggerirci il desiderio da parte del valenciano di “allenarsi giocando”, mantenendo il più possibile la condizione da match effettivo anche per la gioia degli organizzatori di molti tornei 250 o 500, disertati dalla maggior parte dei protagonisti del ranking. Dovunque stia il vero, Ferrer è inevitabilmente arrivato alle Finals londinesi con il fiato a dir poco corto, venendo travolto in 3 match su 3 da Nadal, Berdych e Wawrinka e salutando anzitempo, non certo da terzo giocatore dalla classifica mondiale. Ma anche il rapporto tra finali vinte – 2, ad inizio anno, a Auckland e Buenos Aires – e finali perse – ben 7, tra marzo e novembre, compresa quella del Roland Garros contro Nadal – dimostra che qualità e potenza sono nulla senza il classico controllo. (IN)STANCABILE. Voto: 8
Andy Murray
Nel 1936, mentre Fred Perry sconfiggeva nettamente sul mitico Centrale di Wimbledon il tedesco Gottfried Von Cramm, conquistando il prestigioso titolo dei Championships, a Glasgow cresceva il piccolo Roy Herskine. Il ragazzino non poteva certo immaginare che, 77 anni dopo, suo nipote Andy, figlio della futura primogenita Judy, avrebbe rotto la maledizione del digiuno britannico, all’ombra dei campi in erba alla periferia di Londra. E chissà se, tra non molto tempo, anche il 26enne scozzese deciderà di debuttare nel mondo delle griffe sportive come il suo storico predecessore venerato dai sudditi di Sua Maestà. Nei cuori dei quali, Andy da Glasgow è entrato come una freccia impregnata di orgoglio british, un simbolo dopo anni di promettenti wannabes alla Henman, traditi dall’emozione alle soglie del passo decisivo. Dal punto di vista della “simbologia tennistica”, il successo di Murray a Wimbledon è la perla, sospesa tra romanticismo e storia, dell’anno, il punto esclamativo di una carriera che – se la schiena non farà i capricci come è stato negli ultimi mesi, costringendo lo scozzese prima a numerosi forfait e poi all’operazione, con annesso addio a US Open e Londra – promette di riscrivere altre pagine inesplorate, per quanto riguarda perlomeno la prospettiva d’oltremanica. Due buoni punti di partenza per un 2014 felice sono proprio Brisbane e Melbourne: l’anno scorso due finali conquistate, con vittoria nel primo torneo dell’anno e sconfitta agli Australian Open tutta da vendicare. MONUMENTO. Voto: 8,5
Fa sensazione, va detto, l’assenza di “Re” Roger Federer dalla Top 4 mondiale e di conseguenze da queste pagelle. La stagione tormentata, difficile, in alcuni momenti perfino imbarazzante del mito svizzero, impone a lui stesso e a noi una riflessione, tra lo scorrere del tempo e l’esigenza quasi intima di un suo ritorno ai livelli ai quali ci aveva abituati e con i quali ci aveva abituati; quasi più per la gioia dei nostri occhi che per lui. Perché, in fondo, noi ad uno così gli daremmo sempre un 10 in pagella di profonda stima: e che tennis sarebbe, davvero, senza uno come Federer?